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Pier Attilio Superti

genero di Mario


Non sono mai riuscito a dargli del tu. Lo ho sempre chiamato “Signor Mario”. E non perché lui lo volesse. Anzi. Quante volte mi diceva “Ma smettila di darmi del Lei. E poi non sono un signore”. Eppure signore lo era proprio. Non nel senso della alterità e del distacco che troppo spesso caratterizza chi è al centro della vita culturale. Mario era un “signore” per la raffinatezza dei modi, per l’argomentare profondo e piano, per la gentilezza nei rapporti personali, per la disponibilità verso tutti.

Mi ha sempre colpito proprio la caratteristica del suo pensiero e dei suoi scritti: una semplicità nell’argomentare che andava di pari passo con la profondità degli argomenti e delle motivazioni portate. Semplicità e non semplicismo che oggi pervade molte, troppe, delle discussioni pubbliche cui ci tocca assistere. Profondità che riesce a farsi capire da tutti e non si rinchiude nella torre eburnea del linguaggio per soli adepti.

Mario era proprio il contrario dei sacerdoti del sapere e dei salotti culturali dei circoli televisivi. Rifuggiva la polemica fine a sé stessa e si rammaricava che la televisione, possibile strumento importante per diffondere cultura, stimolare alla riflessione e all’approfondimento, proponesse trasmissioni in cui si sollecita la litigata che aumenta l’audience.

Nelle occasioni in cui si discuteva, Mario esortava a guardare lontano, a non soffermarsi solo sul presente. Non perdeva occasione per spiegare e raccontare a chi glielo chiedeva come impegnativo fosse stato il suo percorso di maestro e di scrittore. Un percorso di vita intenso non privo di difficoltà ma felice, che tutti possono affrontare se motivati e appassionati, se studiano e approfondiscono. Così come la sua scuola era seria, laboriosa e stimolava lo studio e l’approfondimento pur rendendo contenti le bambine e i bambini di andarci!

Brindisi alla festa di compleanno degli 80 anni di Mario Lodi, 17.2.2002.

Mi ricordo l’ultima vacanza che ha fatto con sua moglie, la mitica Fiorella, e con la figlia Rossella, a Molveno. Io e Cosetta li abbiamo accompagnati e poi siamo andati a trovarli nel fine settimana. Era l’estate del 2011. Era il periodo in cui Mario doveva scrivere una introduzione per una nuova edizione di Cipì, l’edizione speciale di festeggiamento dei 50 anni di vita del libro. È stata l’occasione per me di capire meglio la genesi di questo capolavoro della letteratura per l’infanzia: la traduzione concreta di una ricerca pedagogica di un maestro che si fa attraversare dalla vita dei bambini che lo circondano.

Vivere vicino a Mario, per me, è stato come avere un “papà” vero, visto che quello naturale ha abbandonato mia madre, le mie sorelle e me. Una persona con cui si poteva parlare, che ascoltava ed era capace di sorridere, curioso di sperimentare e capace di immaginare. Una persona con una storia esemplare cui attingere per avere stimoli alla riflessione e all’azione.

Mi ha sempre colpito, ad esempio, il fatto che fin dall’inizio del suo lavoro di maestro, ha acquistato molti materiali e strumenti per l’attività scolastica pagandoli di tasca propria nonostante il modesto stipendio statale. Così come le entrate che derivarono in seguito da premi erano utilizzati per sostenere iniziative come la Casa delle Arti e del Gioco e non per investimenti privati.

Una preoccupazione lo attraversava negli ultimi anni della sua vita: vivere in un periodo storico in cui si stavano addensando i rischi di un nuovo conflitto mondiale, in cui i social spingevano all’odio e all’insulto perdendo la capacità di dialogo. Chissà cosa direbbe oggi di fronte al conflitto russo-ucraino, alla tensione tra USA e Cina e alle tante guerre non raccontate.

Ho avuto la fortuna di pranzare spesso insieme a Mario attorno al tavolo della grande cucina senza mai avere la televisione che infastidiva impedendo il dialogo tra persone. Erano momenti importanti in cui si finiva inevitabilmente per discutere del periodo che si viveva con toni diversi. Fiorella sempre molto presente e certa delle proprie opinioni e Mario che invitava tutti a ragionare su un mondo nuovo che richiedeva nuovi strumenti anche di analisi e di azione.

Mario era appassionato di calcio. Non si perdeva una partita in televisione, soprattutto della nazionale e delle coppe internazionali. Azzerava il volume della televisione per non sentire il commento perché diceva che lo confondeva e oscurava la partita. Da ragazzo aveva ideato e realizzato anche un gioco da tavolo che riproduceva il calcio. Una anticipazione del noto Subbuteo. È interessante leggere le pagine di Come giocavo che ne descrivono nascita e sviluppo. Ho giocato con lui qualche volta e ovviamente ho sempre clamorosamente perso.

Il giorno del suo 80° compleanno moglie e figlie organizzarono una festa a sorpresa. Per preparare il grande salone della Casa delle Arti e del Gioco era necessario che Mario fosse assente. Cosetta aveva inventato che ci sarebbe stato un convegno nazionale di ostetriche per parlare di nascita. Rossella e io organizzammo con lui una visita al nuovo allestimento del Museo Civico di Cremona. Al ritorno la sorpresa di decine e decine di amici che lo accolsero con un grande applauso di saluto e Mario felice e sorpreso, con la ironia sottile che lo caratterizzava, disse: “Care amiche ostetriche, benvenute! …”.

Non ho di certo una vena artistica. Alle elementari mi hanno messo nei banchi degli stonati che non dovevano cantare e alle medie e al liceo di certo non eccellevo in disegno. Mario una volta mi incoraggiò a provare a disegnare il muro di cinta di mattoni della casa in cui abitavamo. Ci ho tentato con risultati orribili. Persino Mario non mi invitò più a disegnare!

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