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 Editoriali


RIFORMA DELLA SCUOLA, RIFORMA DEI CICLI
Editoriale di novembre 2000

1°Un'idea che viene da lontano.

1959. La legge Casati
Nella seconda metà dell'Ottocento la rivoluzione industriale porta un cambiamento radicale nel mondo del lavoro e in tutta la società. Le idee illuministiche che sostengono il principio dell'istruzione di massa come bene nazionale si diffondono in Europa. Con l'Unità d'Italia il problema viene fatto proprio dalla classe dirigente piemontese e affidato al ministro della Pubblica istruzione Gabrio Casati, con un fine ben chiaro: l'istruzione del popolo deve servire a preparare operai meno ignoranti, quindi più produttivi, perchè una migliore produzione significa più benessere generale.
La legge Casati creò un ordinamento efficace, il cui indirizzo strutturale è rimasto quasi immutato fino ad oggi, così come sono rimaste le premesse ideologiche e le scelte pedagogico-didattiche di fondo (compresi i modi di reclutamento e di formazione degli insegnanti). La scuola elementare progettata da Casati è statale, obbligatoria e gratuita.
Il suo fine è di dare un minimo di istruzione a popolazioni analfabete, cioè il leggere, lo scrivere e il far di conto. Il metodo di insegnamento è quello "trasmissivo mnemonico": l'insegnante è depositario di conoscenze e valori indiscutibili che trasmette ai suoi allievi, i quali li devono mandare a memoria, senza la possibilità di esprimere il loro pensiero.
Ovviamente, per i figli dei borghesi che sarebbero diventati i futuri dirigenti, questa scuola non era adatta. Per essi era prevista la cosiddetta scuola paterna: la famiglia provvedeva direttamente a casa o con le lezioni private a dare ai figli una cultura adeguata ai compiti che li attendevano.
Sulla carta, dunque, la scuola statale era per tutti; in realtà dovevano passare ancora 70 anni per vedere salire la frequenza alla scuola pubblica a circa il 90% degli obbligati.

1867. I programmi del ministro Coppino.
I programmi Coppino apportano solo ritocchi alla legge Casati per risolvere alcuni problemi. I principali sono l'analfabetismo (circa l'80% della popolazione) e la scarsa preparazione culturale degli insegnanti elementari.
Il problema di fondo che traspare dalle Istruzioni è sempre l'unificazione del popolo italiano sul piano linguistico, e l'uso della scuola per educare i giovani al "bene", cioè alla virtù dell'obbedienza.
Le Scuole normali che preparano i maestri, hanno indicazioni chiare in questo senso: esse hanno il dovere di "educare la classe modesta ma preziosa dei maestri elementari che sono a loro volta destinati a spargere tra i figli numerosi dell'agricoltore e dell'operaio germi di cultura bastevoli a sollevarli dalla corrompitrice ignoranza di cui rimarrebbero preda". Viene confermata la funzione di educatore popolare del maestro.

1888 I programmi di Aristide Gabelli.
Il ministro Gabelli, politico moderato e pedagogista originale, credeva che una coscienza nazionale e moderna si potesse formare partendo da una corretta educazione scientifica.
In polemica con l'educazione formale, che metteva il bambino in una situazione di passività, sottolinea che fine della "Istruzione educativa" è far acquisire al ragazzo la capacità di ragionare, per mezzo della quale riuscirà a capire e a conoscere la realtà in cui vive. Nei suoi programmi, ispirati al positivismo, troviamo alcuni elementi di quella corrente di pensiero e cioè: osservare i fatti concreti, adeguare l'insegnamento al livello psicologico del bambino, mirare alla formazione di abitudini mentali e operative.. Vi troviamo, per esempio, accanto all'osservazione della natura, lo studio della geografia attraverso l'esame delle carte, lo studio pratico della matematica in modo che il giovane impari a tenere una semplice amministrazione, il collegamento fra studio del corpo umano e nozioni di igiene.

1894-95. I programmi del ministro Baccelli.
La fine del secolo è piena di eventi sociali e politici. La crisi dello sviluppo industriale, la disoccupazione, le sommosse popolari, l'inizio della politica coloniale fecero peggiorare la situazione interna. Il criterio di pensare con la propria testa che Gabelli aveva introdotto nella scuola fu criticato perchè si riteneva che potesse spingere i giovani, di fronte ai problemi del loro tempo, ad assumere atteggiamenti pericolosi.
Il ministro Guido Baccelli sostituì i programmi del 1888 con nuovi programmi che riducevano l'insegnamento al solo "leggere, scrivere e far di conto, e diventare un galantuomo operoso",

1923. La riforma Gentile.
Quando il fascismo andò al potere, Mussolini incaricò il filosofo Giovanni Gentile di preparare la riforma fascista della scuola. Mussolini aveva bisogno di rafforzare le sue posizioni e vide nella Chiesa un necessario alleato. La riforma Gentile usa infatti la religione come strumento politico in questa direzione, in modo da orientare i giovani alla accettazione passiva delle autorità, religiosa e civile, che si dividono il potere.
Nei nuovi programmi scompare la funzione di una metodologia didattica che parte dall'osservazione della realtà per formare la capacità di ragionare. Vi troviamo invece la concezione idealistica del maestro portatore di cultura, da trasmettere agli allievi. E la prescrizione che " a fondamento e coronamento dell'istruzione elementare in ogni suo grado è posto l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta nella tradizione cattolica".
In sintesi la riforma di Giovanni Gentile aveva realizzato una scuola a diversi livelli.
La scuola di serie A (ginnasi, licei, università) destinata a formare la classe dirigente, frequentata dai figli dei borghesi, dei liberi professionisti, dei ricchi. In questa scuola il lavoro manuale non era previsto perchè chi comanda...non lavora.
La scuola di serie B (Istituti tecnici, professionali e commerciali) destinata a chi svolgeva un lavoro subordinato.
La scuola di serie C (elementari fino alla quinta, e professionali) per i figli dei contadini e degli operai che sarebbero andati nei campi e nelle fabbriche
Il fascismo, in questa scuola , organizzò i giovani in senso militaresco (dai figli della lupa, ai balilla, agli avanguardisti, ai giovani italiani) con vere e proprie divise, armi, campeggi e colonie organizzate come caserme. Tutto era finalizzato alla formazione di un cittadino obbediente, disciplinato, in un certo senso proprietà dello Stato che poteva disporre di lui in pace e in guerra.
Anche i libri di testo di quel tempo, unici e uguali per tutti i bambini italiani inculcavano l'ideologia del fascismo fondata sulle idee di conquista, di grandezza, di avventura facendo leva sulla violenza e sul mito della superiorità della razza.
Quando il fascismo fu travolto dalla guerra che aveva voluto, lasciò agli italiani un immenso bilancio di distruzioni materiali e morali. C'era tutto da ricostruire. Riaprire le scuole dava un senso alla ricostruzione. Ma quale scuola? Con quale fine?

2° QUALE SCUOLA, PERCHE', PER CHI

I programmi del 1945.
Con le truppe alleate era sbarcato in Italia un pedagogista: si chiamava Carleton W. Washburne, ed era seguace e amico del celebre filosofo e pedagogista americano John Dewey. Aveva applicato le metodologie dell'attivismo deweyano a Winnetka, un sobborgo di Chicago , per creare una vita comunitaria nella quale formare la personalità democratica e nello stesso tempo di svolgere il lavoro tenendo presenti le capacità e il ritmo di apprendimento di ogni bambino.
Washburne era contrario quindi a una scuola con i libri di testo e i programmi definiti e tentò di concordare con i ministri italiani nuovi programmi nazionali per le elementari e per l'Istituto Magistrale in sostituzione di quelli fascisti.
La sua proposta era di tener conto della particolare psicologia del bambino dai 6 ai 10 anni e di introdurre nella scuola le basi del comportamento democratico.
Ma non ci riuscì. Il risultato fu un compromesso fra posizioni diverse. Quando i programmi furono pronti, Washburne, in una conferenza, si augurò che fossero attuati in senso democratico per: a) tutelare la salute e lo sviluppo fisico, mentale ed emotivo del fanciullo; b) favorire le attitudini individuali in un clima di collaborazione; c) promuovere l'esperienza pratica che facilita i rapporti sociali; d) coltivare sentimenti di solidarietà e di fratellanza umana nel desiderio della pace e della concordia tra i popoli.
Riguardo alla religione, Washburne riuscì a sostituire la vecchia formula "fondamento e coronamento secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica" con la "spontanea adesione ai principi del Vangelo" e la comprensione della "evidenza dei rapporti fra tali principi e la legge morale e civile".
Per l'Istituto Magistrale Washburne riuscì a far ripristinare l'insegnamento della psicologia e il tirocinio per i futuri insegnanti: tutte e due le cose erano state soppresse da Gentile nel 1923. Ma l'originaria scelta idealista restò immutata, e di conseguenza lo studio della pedagogia finì per esaurirsi in quello della storia della filosofia.
Comunque, nei programmi del 1945 troviamo tracce positive dell'intervento del pedagigista americano. Nella premessa si propone il collegamento tra scuola e ambiente, concetto deweyano che sarà ripreso dieci anni dopo da Bruno Ciari nell'ambito del Movimento di Cooperazione Educativa. Troviamo l'idea del Consiglio insegnanti-genitori e il Consiglio di direzione, che sottintendono il concetto di scuola come comunità democratica. Propositi che resteranno inattuati fino al 1974.
Il piano di lavoro del maestro, che deve rispettare l'unità di insegnamento e le "reali condizioni della scolaresca e delle esigenze locali" sostituisce l'orario ufficiale delle lezioni. E' un cenno significativo di ciò che dovrebbe essere la scuola come servizio sociale che parte dalla realtà del bambino nei suoi rapporti con l'ambiente.
Vengono evidenziati quei valori religiosi che sono accettati anche dai laici e fatti propri da seguaci di religioni diverse da quella cattolica, da chi non si pronuncia in materia di fede ( gli agnostici) e dagli stessi atei: si tratta infatti di valori esclusivamente civili.
Nell'educazione morale, civile e fisica troviamo il concetto di scuola come comunità, l'autogoverno nella vita associata, la formazione del carattere come fine dell'educazione fisica.
Il lavoro, che nei programmi del 1923 era solo occasione di esercitazione, qui assume valore formativo: "Solo col lavoro si possono stabilire saldi e pacifici rapporti di collaborazione tra i popoli".
L'indicazione di costituire in classe piccole cooperative, richiama l'idea della scuola come comunità operante. Ci sono anche raccomandazioni significative, come quella di evitare le recite, le feste e le mostre, cioè tutte quelle manifestazioni che mettono in evidenza il prodotto invece di dare importanza al processo che ha reso possibili quei risultati.
Per l'apprendimento della lingua si consiglia di non partire dalla teoria e dalla grammatica delle definizioni, ma dalla pratica, dall'uso funzionale della lingua, per risalire alle regole e alla comprensione delle strutture linguistiche. Lo scritto, vi si dice, "riguardi da vicino la vita degli scolari e sia, possibilmente, scelto da loro".
Inoltre, per la prima volta nei programmi italiani, si parla di "biblioteca di classe", dello strumento cioè che permette ai bambini di documentarsi sugli argomenti che li interessano e che essi vogliono approfondire. In questo modo la storia e la geografia non sono più una cronologia di guerre e di vicende dinastiche, ma devono essere collegate "da una profonda concomitanza di fini in rapporto alla vita civile e sociale.
Anche nell'insegnamento dell'aritmetica e della geometria si indica al maestro di valorizzare le capacità intuitive degli alunni e, come per la lingua, di risalire dalla pratica alle regole, tenendo presente il rapporto costante fra sapere e società e fra scuola e vita.
Questi pochi cenni ci possono dare un'idea di come, nei programmi del 1945, si è cercato di adeguare la scuola al processo di crescita dei bambini, e nello stesso tempo di assecondare la crescita di tutto il popolo italiano, appena uscito da vent'anni di dittatura e da una guerra disastrosa , per realizzare una società democratica.

3° IDEE PER UNA SCUOLA IN UNA SOCIETA' CIVILE

1948. La Costituzione
Tre anni dopo la Liberazione, il Parlamento italiano approva la nuova legge redatta dalle forze politiche : la Costituzione. Per noi giovani maestri nati negli anni Venti la nuova legge ipotizza una società civile sconosciuta, che garantisce i diritti e le libertà personali, il rispetto delle diversità, il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, il diritto di riunirsi e di associarsi, di professare liberamente la propria fede religiosa. Un mondo di libertà e di diritti di cui non c'era stata traccia nei vent'anni della dittatura fascista.
Nel 1948, vinto il concorso magistrale e nominato maestro di ruolo nella scuola pubblica, la cui struttura era ancora quella verticistica , autoritaria e trasmissiva della riforma Gentile, sentivo la contraddizione fra i valori espressi dalla nuova legge e la realtà scolastica, dove i bambini non avevano diritti.
Fra gli articoli della legge ce n'era uno che mi aveva colpito, l'articolo 21, che iniziava così: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione..."
Il mio problema, e di altri docenti era se in quel "tutti" erano compresi i bambini e, se sì, come fare per realizzare il diritto di avere un pensiero, di comunicarlo e confrontarlo.
L'ipotesi di trasformare la piccola scuola dei bambini in una società di persone libere e responsabili era affascinante, ma non avevamo strumenti, idee, esperienze.
1950. Nasce un Movimento di maestri
In quegli anni, altri maestri e maestre che avevano lo stesso problema , formarono insieme a Giuseppe Tamagnini di Fano un gruppo di docenti che diventarono in poco tempo un movimento. Per la prima volta nella storia della scuola italiana, i docenti di base danno vita a un movimento di pensiero e di azione per cambiare dall'interno la scuola pubblica e adeguarla alle nuove esigenze di una democrazia moderna.
Prima come maestro, poi come insegnante di "esercitazioni didattiche" all'Istituto Magistrale di Fano, Tamagnini di fronte al ritardo culturale e metodologico e al grigiore generalizzato delle pratiche scolastiche in quegli anni, cercò riferimenti operativi in grado di avviare un cambiamento radicale della scuola pubblica.
L'incontro con il pedagogista francese Celestin Freinet favorì la nascita anche in Italia di un movimento che introducesse nella scuola italiana alcune esperienze significative della pedagogia del Freinet: la stampa a scuola del giornale dei bambini (il pensiero infantile ha quindi la stessa dignità di quello degli adulti), la corrispondenza interscolastica ( che dà motivazione allo scrivere e allarga l'orizzonte oltre l'aula scolastica); lo schedario cooperativo (come strumento a cui attingere informazioni, in sostituzione del libro di testo unico per tutti).
In pochi anni il piccolo gruppo dei pionieri raggiunse un massimo di settemila adesioni: una minoranza qualificata che nei numerosi incontri regionali e nei convegni annuali, sulla. base delle esperienze realizzate, costruiva la cosiddetta pedagogia popolare, i cui valori e principi sono diventati istanze dei programmi ministeriali e sono ora in armonia con l'idea della scuola prevista dalla legge sul riordino dei cicli.
A livelli diversi, docenti di ogni ordine e grado, creavano così le premesse per l'attuazione di una scuola in cui i bambini sono protagonisti della loro educazione in un clima di serenità e collaborazione, e nello stesso tempo i docenti realizzano la loro preparazione professionale.
Don Milani
L'esperienza più significativa degli anni sessanta , da ricordare ora che si è aperto il dibattito sulla scuola di base della Repubblica italiana, è quella di don Lorenzo Milani. Ordinato sacerdote nel '47, don Lorenzo viene mandato cappellano a San Donato di Calenzano e ci resta per sette anni. Appena arrivato, apre in canonica una scuola serale aperta a tutti giovani senza discriminazioni politiche o partitiche, come dovrebbe essere la scuola pubblica. Quella esperienza , documentata nel libro "Esperienze pastorali", gli procura l'ostilità di una parte della Curia e il trasferimento a Barbiana, un vero e proprio esilio. E lì, dove non c'è nemmeno la strada e non è ancora arrivata la luce elettrica, organizza subito una nuova scuola a misura dei bisogni dei suoi nuovi parrocchiani e dei loro bambini. Non ha soldi, chiede per loro agli amici di donare medicine, vitamine, ricostituenti per la salute dei suoi ragazzi, spesso minata dalla miseria secolare e dalla denutrizione della gente della montagna. Gli servono libri, encicopedie, carte geografiche, macchine per scrivere, quaderni, cancelleria. Con quel che riesce a ottenere inizia quella scuola esemplare che si può considerare la realizzazione concreta della scuola di cui ora si sta discutendo. Lui, don Lorenzo, a Barbiana l'ha fatta e ha funzionato.
Nella sua scuola, aperta tutto l'anno, c'erano bambini di tutte le età: dai sei ai 14 anni, vale a dire di tutte le classi dei cicli. Insieme convivevano i ragazzi della scuola media con quelli della elementare , come una grande famiglia che viveva l'esperienza dell'apprendimento culturale nello scambio continuo di conoscenze. Il segreto di quella scuola era la collaborazione e il dono: quelli che avevano capito e sapevano, diventavano i "maestri" dei più piccoli.
La piccola scuola isolata sulla montagna era collegata con il mondo con il più semplice dei mezzi: la lettura quotidiana dei giornali e la interpretazione dei fatti nella discussione, con il frequente esercizio linguistico di trascrivere, sintetizzandoli, gli articoli confusi dei giornalisti.
I docenti erano: don Lorenzo e gli ospiti che salivano a Barbiana per essere intervistati dai ragazzi: sindacalisti, operai, giornalisti, maestri, studiosi ecc. i quali fornivano informazioni sui problemi sociali, culturali, educativi e di qualsiasi altro genere.
Una unica stanza con la stufa al centro, un mappamondo del cielo, alle pareti cartelloni con gli articoli della Costituzione e i tavoli spostabili per lavorare a gruppi, era lo spazio interno della scuola: Fuori la piscina costruita dai ragazzi e usata d'estate nelle pause del lavoro.
E' evidente che la scuola di Barbiana non può essere presentata come il modello della scuola di base della nostra Repubblica, ma il suo spirito e i suoi obiettivi educativi sì. Era una comunità dove i ragazzi erano protagonisti nella collaborazione e si sentivano quindi amati e protetti. Dove non c'era la selezione dei più deboli, ma l'aiuto per sviluppare tutte le capacità. Dalla scuola di Barbiana possono venire riflessioni utili per la riforma.

4° LA NUOVA SCUOLA DI BASE

La legge applicativa del riordino dei cicli della scuola dell'obbligo risponde al bisogno delle ultime generazioni di bambini: la voglia di crescere in fretta e fare cose da grandi pur restando bambini dal punto di vista della maturazione psicologica. Il terzo ciclo, coincidendo con tale loro bisogno, opera quindi una promozione sociale che dovrà essere gestita dai docenti con strategie e interventi specifici, cioè con professionalità.
Comincia così, nel primo anno del terzo ciclo, l'impegno professionale dei docenti per assecondare il reale sviluppo evolutivo del bambino/ragazzo. Emerge quindi dalla riforma la concezione della scuola come ambiente educativo che ha come soggetti protagonisti i bambini e come soggetti responsabili, anch'essi protagonisti nella funzione di organizzatori di progetti culturali, i docenti.
E' naturale che se si vuole adeguare la professionalità dei docenti alla crescita equilibrata dei loro allievi, tutto l'apparato scolastico attuale dovrebbe essere riconsiderato, riorganizzato e gestito come servizio per i ragazzi, considerati cittadini che hanno il diritto di vivere a scuola la loro prima e fondamentale esperienza sociale, praticando i diritti e i doveri garantiti dalla Costituzione.
Per esempio la libertà di espressione del proprio pensiero attraverso i vari linguaggi espressivi, comporta il dovere, per la famiglia e per la scuola, di aiutare il bambino ad avere un suo pensiero originale su tutti i problemi della vita che lo riguardano e ad esprimerlo liberamente attraverso norme e regole che garantiscano la libertà di espressione di tutti.
A scuola il bambino dovrà essere accolto dai docenti con tutte le sue potenzialità e i suoi limiti. Un tempo lo si definiva bambino "intero", in quanto portatore di una sua cultura globale, di una storia-esperienza da conoscere, sviluppare e integrare con quella degli altri nel contesto del gruppo classe che si apre verso la comunità sociale.
L'accoglimento del bambino "intero" come soggetto autoeducante richiede di conseguenza un programma unico, anche quando i docenti lavorano su discipline diverse. Uno e intero il programma, uno solo il clima della classe, comuni i principi ispiratori della metodologia scelta.
E' su questo piano, con l'obiettivo della scuola come esperienza di democrazia, che è possibile formare, nella pratica quotidiana, la professionalità dei docenti, intesa come capacità di svolgere il lavoro coordinato come se fossero un unico docente. Le componenti della progettazione collegiale, che ha cone fine la realizzazione della comunità scolastica, sono la conoscenza degli allievi, la competenza specifica disciplinare e l'impostazione metodologica, che dia ai ragazzi la possibilità di vivere quotidianamente il lavoro collaborativo fondato sulla ricerca, come valore da conservare oltre la scuola,per sempre.
Il programma protrebbe essere unico per tutta la scuola dell'obbligo, con articolazioni interne relative ai vari cicli, scritto con linguaggio chiaro e accessibile ai diretti interessati ( allievi e genitori) ai quali sarà consegnato in copia.
Per quanto riguarda i contenuti, con relativi suggerimenti didattici, abbiamo come punti di riferimento esperienze significative realizzate da molti docenti in Italia, recuperabili ai diversi livelli: un patrimonio da analizzare operando sintesi valide per tutti.
Probabilmente il riordino dei cicli in funzione dell'adeguamento della scuola al processo evolutivo dei ragazzi e in rapporto all'evoluzione della società, può creare disorientamento e crisi nei docenti. Ma siamo convinti che il salto di qualità della scuola lo sarà anche e soprattutto per i docenti. Nella società di oggi in rapida evoluzione tecnologica incontrollata, che influisce sui giovani creando atteggiamenti indotti e problemi di disadattamento, la scuola non può restare estranea. Il suo dovere, secondo noi, è di aiutare i ragazzi a conquistare le conoscenze con le tecniche più appropriate e a vivere nella scuola i valori fondamentali di una piccola società in cui si forma la cultura critica e la coscienza del cittadino responsabile, senza delle quali non esiste nè libertà nè democrazia.

Mario Lodi e Gioacchino Maviglia

 

   
   
   
   
   




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Precedenti:
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Editoriale di gennaio 2000
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Editoriale di aprile 2000
LA PAGINA DEI BAMBINI
Editoriale di luglio 2000
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Editoriale di agosto 2000

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