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Albino Imperial

docente e documentarista


Ho conosciuto Mario nel 1972 per via della parentela quando ho conosciuto la mia futura moglie, Adriana: la mamma di Mario e quella di mio suocero erano sorelle.

Nella sua casa di Piadena aveva uno studio dotato di una grande biblioteca; gli scaffali erano pieni di libri, non enciclopedie con fregi dorati da esporre, ma libri usati, cartelline strabordanti di fogli, dei lavori fatti dai suoi allievi. Cominciammo a parlare della scuola, dell’insegnamento e dei suoi problemi. In poco tempo, con la sua voce pacata, è riuscito a farci “respirare” un pezzo del suo lavoro di maestro elementare. Ci ha parlato dei problemi incontrati, delle strategie messe in campo sin dal dopoguerra, delle difficoltà dell’insegnante in una società in continua evoluzione. Dai suoi racconti ho capito che in ognuno dei suoi allievi, anche i più difficili, egli cercava i punti forti in modo da far emergere gli aspetti positivi e farli vincere rispetto a quelli negativi.

Nacque sin da allora un’amicizia importante perché, questa persona, dal carattere mite ma anche forte, con il racconto delle sue esperienze, mi ha contaminato, facendomi capire come la didattica e la pedagogia devono fondersi una nell’altra e questo è possibile quando si stabilisce una relazione di rispetto e ascolto tra insegnante e allievo.

Il germe della didattica doveva piano piano farsi strada nel mio bagaglio culturale di tecnico, vile meccanico, nutrendomi delle cose che sentivo da Mario e che leggevo sui suoi libri, assorbendo certe parole chiave: cominciare dal bambino, partire dal quotidiano e dalle sue esperienze, stabilire un rapporto vero di fiducia, il bambino e le sue scoperte e i suoi perché ai quali rispondere per crescere insieme, il bambino artista e scienziato…

Parlando con lui respiravi la forza delle cose che faceva e la speranza di poter fare qualcosa di utile per la società. Finita la guerra, quando, diplomato alle Magistrali, ha cominciato nel 1948 a fare il maestro, si era trovato disorientato e impreparato perché la scuola fascista, piena di retorica e autoritarismo, nella quale era stato formato, non gli forniva certo un modello di riferimento. Il paese stava cambiando, erano nate la Repubblica e la Costituzione; in democrazia vi era dunque l’esigenza di una nuova pedagogia, di parole e atteggiamenti diversi.

Raccontava che, all’inizio, per stimolare il rendimento dei suoi allievi, aveva organizzato una gara: il “Giro d’Italia”, aveva disegnato una cartina dell’Italia e delle bandierine col nome degli allievi. A vincere erano sempre gli stessi che non erano per forza sempre i più talentuosi e creativi: bisognava cambiare qualcosa per far emergere la potenzialità degli allievi e abolire questa grossolana competizione assai poco educativa.

Cominciò così a tracciare da sé, interpretando la ricostruzione dell’Italia del dopoguerra, i primi tratti di una nuova scuola, giorno dopo giorno, cercando di applicare le teorie ispirate alla pedagogia popolare di Célestin Freinet, confrontandole con i colleghi e amici del Movimento di Cooperazione Educativa, di cui fu uno degli animatori. Aveva capito che, certo, bisognava istruire, saper leggere e scrivere, fare di conto ma, soprattutto, educare gli allievi come futuri cittadini alla nuova democrazia. Il tempo della pedagogia punitiva era finito per lasciare posto ad una scuola del fare e della democrazia. Diceva: “La nostra Bibbia laica è la Costituzione!”. La cattedra viene messa da parte, la pedana trasformata in piazzetta delle manifestazioni pubbliche, i banchi messi in circolo con i bambini che si guardano in faccia, si conoscono e discutono.

Tutto ciò emerge bene dai suoi vari racconti e, meglio ancora, dal resoconto che Mario ne fa nel suo libro del ’63, C’è speranza se questo accade al Vho, un diario ragionato dei primi anni di insegnamento al quale segue Il paese sbagliato, un diario di cinque anni di scuola dal 1964 al 1969, centrato sulla libera espressione della creatività.

Libera espressione che non significa scuola facile dove ognuno fa quello che vuole, al contrario: era una scuola delle regole, del dubbio e delle ricerche, delle mani alzate per chiedere la parola ma anche del diritto dei bambini a far sentire la propria voce nel rispetto degli altri.

Questa esperienza, insieme ad altre come quelle di Fiorenzo Alfieri, Bruno Ciari… contribuirà fortemente, anche in Italia, a far prendere coscienza, nel corpo insegnante, che il bambino è portatore di una vera e propria cultura che una società civile deve saper accogliere e rispettare come recita la Costituzione all’articolo 3.

Nel 1989, credo per l’anno del fanciullo, mi fece un’intervista che sarebbe finita poi, insieme ad altre testimonianze, nel libro Storie di adulti bambini (edizioni Sonda, Torino).

Da allora mi ripetè sempre che avrei dovuto scrivere io la storia della mia infanzia, perché dal mio racconto aveva scoperto che da piccolo avevo fatto lo stagionale negli alpeggi di Pila. Dopo anni, nel 2012, Mario lesse il mio testo dicendomi che non c’era da toccare nemmeno una virgola, così nacque Lapaboura (Duc, Aosta 2014), il racconto di quando a 10 anni ho passato la mia prima estate a fare il pastorello nell’alpeggio del Chacard a Pila.

Io e Adriana in seguito siamo stati coinvolti da Mario come collaboratori nella redazione di uno dei volumetti della “Biblioteca di lavoro”, che contava oltre 120 titoli, e in quella occasione abbiamo conosciuto il gruppo di lavoro di maestri ed esperti ricercatori, tra cui Francesco Tonucci, Aldo Pallotti, Gioacchino Maviglia e tanti altri. I libretti erano, nelle intenzioni degli autori, delle testimonianze di lavori fatti e da fare, senza pretesa di essere dei modelli, piuttosto degli stimoli per gli insegnanti. L’editore, Luciano Manzuoli di Firenze che stimava molto Mario, dovette cessare la pubblicazione perché, certo, lo scopo pedagogico era nobile ma non corrispondeva ad un affare commerciale in grado, alla lunga, di coprire i costi. Fu comunque un’esperienza appassionante e interessante. Molte cose sono cambiate da allora ma, pur con i necessari accorgimenti rispetto alla nostra convulsa società, il suo discorso educativo per approccio e metodo pedagogico è di assoluta attualità e mi ha accompagnato anche in seguito.

Mario nel 1989, col denaro vinto con il premio Lego internazionale fonda, in una cascina di Drizzona, la “Casa delle Arti e del Gioco”, un centro studi e ricerche sui problemi dell’età evolutiva, sui processi di sviluppo della conoscenza e della cultura del bambino, con relativa produzione di documentazione bibliografica, iconografica, audiovisiva, multimediale. Ricordando gli anni del dopoguerra diceva: «Come allora, anche oggi c’è bisogno di ricostruire moralmente una società, recuperando i valori abbandonati». Il suo lavoro non finisce con lui, perché intorno alla Casa delle Arti e alla figlia Cosetta si sono aggregati nel tempo insegnanti e formatori per continuare la sua azione educativa e civile.

Un uomo di vasta cultura, rara sensibilità e grande rigore. Mario musicista e pittore, usava anche la macchina fotografica e la cinepresa a passo ridotto per riprendere “grumi di vita”. Mi ha fatto conoscere i lavori originali del suo amico Franco Piavoli, realizzatore del famoso film Il pianeta azzurro.

Un ultimo ricordo che conserviamo con immensa simpatia. Andato in pensione nel 1978, prese la patente di guida e organizzammo delle vacanze di famiglia in giro per la Francia, esplorando nel 1981 Normandia, e Bretagna, nel 1982 tutto il sud della Francia dalla Provenza fino a Perpignan sulle orme di Petrarca, Matisse e Chagall. Ogni giorno una meta diversa, Tutti eravamo lanciati alla scoperta delle cose più interessanti del luogo visitato, compresi i contatti con le persone. Mario disegnava col carboncino, non si accontentava di una fotografia… Fu un vero viaggio che ci trasformò in un’allegra e complice compagnia!

L’incontro con Mario è stato un momento molto importante nella mia vita ed ha acuito il mio interesse per il mondo dell’educazione.

Dal 1977 mi sono accorto che anche al mio paese, Gressan, c’erano dei maestri (Anita Cunéaz e Filippino Curtaz) che, sull’onda dell’innovazione, cercavano di portare avanti dei programmi elaborati dal gruppo del Movimento di Cooperazione Educativa. Decisi di documentare con la pellicola la loro interessante esperienza con il film Les Paniers de Lisé. Nonno Eliseo che va in classe per mostrare come si costruisce un paniere con i salici. 30 anni dopo sono tornato sui miei passi ed ho registrato testimonianze degli insegnanti e allievi.

Ricordo che tra gli anni ’60 e ’70 la Valle d’Aosta non era scevra di innovazioni: nei primi anni ’60 c’erano stati dei corsi in Valle per i maestri valdostani, tenuti da Céléstin Freinet e Raoul Faure, supportati dal lungimirante assessore all’istruzione Corrado Gex. Alcuni testimoni di quelle giornate sono stati il maestro Ferruccio Deval di Nus, precursore appassionato dell’insegnamento plurilinguistico e Lucio Duc di Arnad, insegnante, poeta, scultore, un protagonista dell’innovazione nella scuola valdostana.

Nei primi anni ’70 il direttore didattico Sergio Bosonetto membro dell’MCE, organizzò una conferenza a palazzo regionale per discutere sull’ipotesi di istituire una scuola differenziale per i bambini portatori di handicap. A questa discussione fu invitato, fra gli altri, Mario Lodi. La conclusione fu che la scuola non doveva emarginare i bambini con dei problemi per evitare di formare dei ghetti e dei cittadini esclusi dalla società.

Nel 1993 ho iniziato a occuparmi “ufficialmente” di didattica più da vicino, andando in qualche scuola su richiesta di alcune maestre amiche e interessate alla Scienza. Dal 2006 al 2022 ho avuto l’incarico di “Didattica della Fisica” all’Università della Valle d’Aosta, grazie alla fiducia dell’allora preside di Facoltà, professoressa Teresa Grange alla quale sono riconoscente, perché mi ha fatto conoscere dei giovani e bravi colleghi, l’occasione propizia per scambiare concetti e idee, insomma per continuare ad imparare e continuare il mio dialogo con Mario Lodi, un educatore-ricercatore con un grande senso democratico della società, un interprete positivo del suo tempo, un poeta dell’insegnamento dal quale, come molti altri, ho imparato tanto per la vita, un amico caro, indimenticabile, per cui provo tanta nostalgia.

In rete si trovano in abbondanza dati biografici e bibliografie varie su di lui, io riporto solo l’indirizzo web di un laboratorio vivo e attuale, dove si possono trovare utili elementi e spunti per gli insegnanti della Formazione Primaria: Casa delle Arti e del Gioco – Mario Lodi.

Albino Imperial è docente di Didattica della fisica all’Università della Val d’Aosta e documentarista.

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