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Cinzia Mion

maestra e formatrice


Ho già narrato, in un racconto intriso di emozioni, come ho scoperto l’esistenza del Movimento di Cooperazione Educativa e come ho deciso di aderirvi subito, inaugurando così la mia autentica formazione professionale come insegnante. Fu la mia fortuna.

Ero entrata in ruolo nell’anno 1962, completamente digiuna di didattica innovativa adeguata. Ero quindi destinata a ingrossare le fila di quei docenti che ripropongono il copione di pratiche ricevute dai loro docenti. L’iscrizione avvenne nel 1963 con la frequenza al gruppo di lavoro del MCE di Treviso, che si riuniva una volta alla settimana: una comunità di pratica professionale ante litteram. Durante gli incontri seminariali di formazione fuori regione – spesso vere e proprie scuole estive, che altre volte ho definito mitici, incontrai persone splendide come Mario Lodi.

Non credo di avere avvicinato nessun altro nella mia vita che accoppiasse lo spessore di una personalità oltremodo autorevole come la sua con una dimensione così sommessa, senza enfasi, come se non avesse nessuna consapevolezza del suo valore. Con estrema pacatezza e lo sguardo azzurro disarmante, infatti, Lodi ti seduceva con la sua esperienza e la sua maestria. La sua voce piana, il suo ritmo vitale tranquillo ma attentissimo, rendeva evidente e semplice la situazione più problematica. Aveva un fascino incredibile. Sapeva sempre ricondurre tutto alla dimensione dell’infanzia, al massimo rispetto per i bambini, alla loro curiosità, alla co-costruzione della loro conoscenza e delle loro narrazioni. Capivi proprio che lui guardava con gli occhi dei bambini e coglieva gli spunti per far esplicitare i loro pensieri sul nascere, guidandoli a dare forma e struttura alle loro produzioni, senza depauperarle della magia.

Partiva sempre dall’esperienza, e dalla successiva riflessione su di essa, per ricavarne spunti creativi e connessioni divergenti. Da questi percorsi nacquero storie fantastiche inventate dai bambini che ancora affascinano generazioni di maestri e alunni come il famoso Cipì.

Agli insegnanti affamati di un fresco sapere didattico Lodi offrì C’è speranza se questo accade a Vho, un diario didattico imperdibile per chi cominciava la professione, e poi Il paese sbagliato, che conobbe una grande fortuna e il premio letterario Viareggio.

I racconti precisi e dettagliati delle attività che realizzava a scuola con i suoi bambini, partendo dalle loro preconoscenze, che poi faceva evolvere senza accelerazioni artificiose verso quelle che oggi chiameremmo mappe scientifiche, ci restituiscono ancora oggi esempi illuminanti di una didattica laboratoriale e cooperativa, veramente interattiva, singolarmente in linea dal punto di vista pratico con l’approccio socioculturale teorico, sollecitato oggi dalle Indicazioni nazionali.

Leggevo recentemente, in una sua intervista, rilasciata un paio d’anni prima di mancare, il rammarico per una scuola sempre più trasmissiva e il dolore per un’utopia che non si è realizzata, per una promessa non mantenuta: l’utopia riassumibile nella famosa frase “non uno di meno” nella quale abbiamo creduto in molti, l’utopia di don Milani, che Lodi ebbe modo di conoscere e in cui reciprocamente questi due grandi Maestri si rispecchiavano.

Quando Lodi lasciò la scuola militante e andò in pensione – di sicuro per non restare quiescente – ho continuato a seguirlo da lontano attraverso tutte le attività che in modo instancabile ha continuato a realizzare tra cui la riscrittura nell’anno 1988 della Costituzione, in forma adatta per i bambini, insieme al gruppo redazionale “A&B”, un giornale tutto scritto e illustrato dai bambini stessi. Alla Costituzione affidava la bussola, la guida da vivere quotidianamente a scuola e nella vita civile, se si vuole costruire una società di alto livello etico.

A proposito dell’importanza e della finalizzazione del lavoro dei docenti, egli scriverà ai partecipanti della sessantesima Assemblea del MCE, organizzata a Firenze nel 2011 per festeggiare l’anniversario della fondazione del movimento nel 1951 da parte di alcuni maestri tra cui Giuseppe Tamagnini: “La formazione professionale dei docenti capaci di organizzare il lavoro scolastico liberando le capacità espressive, logiche e creative dei bambini non è soltanto una questione pedagogica e burocratica, essa è prima di tutto urgente problema politico nel quadro del risanamento morale dell’intera società. Il cammino è una strada da percorrere insieme con tenacia, concretezza, passione, responsabilità, determinazione, competenza e divertimento. È anche credere che i sogni si possano realizzare insieme; educatori, bambini e genitori”.

Con queste affermazioni che inneggiavano al principio essenziale della co-evoluzione, e che insieme erano un augurio, Mario Lodi ci ha lasciato il suo testamento professionale, etico e politico.

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