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Fiorella Ferrazza

ostetrica


Per raccontare la vita di Mario non basterebbe un libro, prima o poi studiosi seri e appassionati scriveranno una sua approfondita biografia. Per raccontare la mia vita con Mario servirebbero tante pagine e tanta memoria, mi limiterò ad alcuni ricordi e riflessioni.

Ho conosciuto Mario nel 1950, a Piadena, al bar del paese frequentato dalla sinistra, lo notai la prima volta, un pomeriggio d’estate, seduto su una panca ai tavoli nel cortile.

Chiesi al Toni chi fosse, mi rispose: “L’è el maester Mario!” (È il maestro Mario!).
Io avevo 16 anni e Mario dodici di più. Tra noi scattò subito una scintilla!

Eravamo curiosi l’uno dell’altra. Io ero molto vivace, sempre in movimento, entusiasta, allegra. Mario riservato, il classico studioso, pacato, dialogava con tutti, molto rispettato, appunto… il maestro. Nel cortile del bar, nella bella stagione, si discuteva degli avvenimenti, della politica, di tutto. Mario partecipava attivamente alla vita del paese, alle iniziative della Biblioteca Popolare, era consigliere comunale.

Un vulcano di idee, sapeva stimolare entusiasmo, interesse alla lettura e alla conoscenza, fu l’animatore del “Teatro di massa”, una originale esperienza popolare. Lui preparava la sceneggiatura dello spettacolo teatrale che poi discuteva insieme agli altri. Gli attori erano tutti uomini, io avevo il ruolo di coordinare lo svolgimento delle scene. Partecipavo al balletto finale presentato dal gruppo dei giovani della FGCI. La mia passione mi portava ad assumere un ruolo attivo nella progettazione, nello stesso tempo Mario mostrava molta considerazione nei miei confronti tanto che una volta, durante le prove, fece una battuta: “Regista la Fiorella, a me la cordicella!”. In realtà era lui ad avere in mano tutti i fili, non solo la cordicella del sipario.

Ci davamo del lei.
Facevamo spesso lunghe passeggiate a piedi e lunghe chiacchierate. Mario mi corteggiava in modo discreto, il nostro rapporto di simpatia e attrazione pian piano cresceva e si trasformava in un sentimento intenso di innamoramento.

Un pomeriggio, seduti ai tavoli del bar, il Toni chiese a Mario: “Maester, quant el che ‘l se spusa?” (Maestro, quand’è che si sposa?). Impulsivamente io risposi “El speta me!” (Aspetta me!).
Nessuno reagì e la cosa cadde nel silenzio di tutti.

Intanto il tempo passava e si avvicinavano i miei 18 anni.

Gli chiesi di aspettare, me ne andai a Parma a studiare. In quegli anni di internato in clinica universitaria, Mario ogni tanto mi scriveva e mi mandava cartoline di suoi acquerelli e una volta il disegno del mio ritratto. Il 7 dicembre 1954 mi ha scritto dichiarando il suo sentimento d’amore: “… mi scuserà se porto via qualche tempo alla sua preparazione e al suo lavoro per invitarla a considerare il mio desiderio di superare la solitudine morale, avvicinandomi a lei, alla donna cioè che potrebbe condividere le oneste e semplici aspirazioni del mio cuore…”. Io provavo lo stesso sentimento ma il mio obiettivo era quello di avere una professione. Non mi ero “impegnata” con lui, prima volevo studiare e Mario lo sapeva: “…io pazientemente l’aspetterò – continua nella lettera – il mio pensiero, qualunque sia la sua risposta, la seguirà con amore”.

Volevo lavorare per aiutare la mia famiglia e per cinque anni, dopo il diploma ho svolto supplenze lontano da casa nei paesi del cremasco, facevo l’ostetrica condotta e dovevo essere reperibile. Mario veniva a trovarmi ogni tanto ma soprattutto mi scriveva: conservo sue cartoline, disegni, poesie e 130 lettere piene di amore e di tormento per quella lontananza che ci faceva soffrire.

Ci siamo sposati il 31 luglio 1958.

Mi sono subito appassionata al lavoro di Mario, mi parlava del suo modo di fare scuola controcorrente, dei cambiamenti, delle sperimentazioni, dei suoi ragazzi, degli scambi con altri maestri, delle speranze di distruggere la scuola autoritaria, di nuove tecniche didattiche. Documentava tutto ciò che accadeva nella classe, annotava le sue riflessioni e valutazioni, tornava da scuola con tanti appunti e taccuini fitti di conversazioni dei bambini “registrate” fedelmente. Io ascoltavo volentieri le sue cronache, i racconti, i dubbi, le soddisfazioni, apprezzavo il coraggio e la tenacia con cui si impegnava quotidianamente anche se talvolta si provava amarezza per gli atteggiamenti ostili dell’ambiente di lavoro. L’aiutavo trascrivendo a macchina i materiali che preparava, le relazioni per il Movimento di Cooperazione Educativa, articoli e corrispondenza. Riceveva numerose lettere e a tutte rispondeva; spesso mi passava la brutta copia scritta a mano, in treno nei vari viaggi su e giù per l’Italia. Io trascrivevo. L’ho fatto per tanti anni. Mario ha sempre risposto a tutte le lettere, sempre.

Aiutavo Mario, l’ho sempre aiutato.

Vivere al suo fianco non è stato difficile ma straordinariamente impegnativo! Mario ha sempre coinvolto la famiglia con le sue attività. Ho dattiloscritto una quantità incalcolabile di pagine, fra lettere, articoli e manoscritti di libri che lui mi passava in brutta copia o revisionati. Inoltre in casa c’è sempre stato un sostenuto movimento postale: ho incollato centinaia e centinaia di etichette di indirizzi a pile di giornalini, fascicoli, libretti e al giornale “A&B” da spedire agli abbonati.

Ostetrica, moglie, madre, casalinga, “segretaria”, collaboratrice: Mario mi parlava dei suoi progetti, ci confrontavamo su idee e prospettive, mi chiedeva consigli, mi faceva partecipe delle sue iniziative. Mi ha sempre lasciato libera di compiere le mie scelte tranne quando mi chiese di non partecipare al concorso per il posto di ruolo poiché avevo alta probabilità di vincerlo e ciò avrebbe comportato il trasferimento della nostra residenza e lui non voleva lasciare la sua esperienza alla scuola al Vho.

Con la pubblicazione del libro Il paese sbagliato è arrivata la notorietà. Era invitato ovunque per incontri con insegnanti e popolazione. Riservato, schivo, modesto. Quando divenne famoso come scrittore e come maestro, lui restò sé stesso, non si atteggiò a primadonna, non diventò “narciso”, come talvolta accade. Ha ricevuto numerosi premi e prestigiosi riconoscimenti ma non si è mai montato la testa.

Uomo molto intelligente, colto, leggeva e studiava in modo costante e assiduo. Uno sguardo aperto rivolto al futuro, immaginava e desiderava un mondo migliore. Insofferente alla polemica, ai conflitti distruttivi. Dove non c’era dialogo si fermava.

È stato tutto molto impegnativo ma anche vitale: accogliere, incontrare le persone che venivano a trovarlo, a lavorare con lui, a conoscerlo, a intervistarlo. Ci siamo affezionati ai collaboratori e amici del gruppo redazionale del giornale “A&B”, della Biblioteca di Lavoro, e della Casa delle Arti e del Gioco. Strada facendo ho incontrato persone che sono diventate amiche, alcune non ci sono più, altre si sono allontanate, con altre siamo in contatto e ci lega un filo di affetto profondo in memoria di Mario.

Mi hanno chiesto “Come ti sei sentita ad essere la moglie di Mario Lodi?”.
È stato divertente, stimolante, ho imparato molto, non ho potuto conoscere la noia. E sinceramente sono straordinariamente orgogliosa di avere vissuto con Mario!

Mario e Fiorella a Predazzo, estate 1959.
Mario e Fiorella, nel giardino di casa a Piadena, 1974.
Mario e Fiorella alla Casa delle Arti e del Gioco nel 2009.
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