img-header-sezione-Mario-lodi-radioBN

Elena Pasetti

già direttrice di PInAC, Pinacoteca Internazionale dell’età evolutiva Aldo Cibaldi


È una calda giornata di tarda primavera del 1996.

Intorno alle 9 del mattino, a bordo di un pullmann stracolmo e vociante arriviamo a Drizzona, alla casa-laboratorio di Mario Lodi.

A bordo c’è chi scrive e Vinz Beschi, insieme alle bambine e ai bambini di due classi quarte di Calvagese della Riviera con le loro maestre e Mariadele Casella, in rappresentanza dei due comuni che hanno finanziato la spedizione.

Noi due, come AVISCO (Associazione per l’Audiovisivo Scolastico di Brescia), siamo armati di videocamera, cavalletto, microfono e del progetto di sceneggiatura per il  documentario che testimonierà questa giornata speciale da vivere con Mario, il mitico maestro di noi tutti.

Mentre le classi si ambientano e si rifocillano (elemento indispensabile per qualsiasi trasferta fuori dalle mura scolastiche) sottoponiamo a Mario la scaletta delle riprese che viene integrata dalle sue proposte di laboratorio; eseguiamo i sopralluoghi delle diverse ambientazioni e stabiliamo la durata orientativa delle attività nell’ambito dei tempi a disposizione.

Mario parlerà a braccio, come a scuola, guardando e ascoltando i bambini e le bambine con la genuina curiosità che lo contraddistingue.

Si struttura  così la sceneggiatura definitiva che consentirà il rispetto di tutti e la verità di ciascuno.

Ecco Mario all’opera, dimentico della videocamera, che guida bambine e bambini nelle diverse fasi del lavoro sul colore, sull’invenzione e realizzazione di nuovi colori, sull’assegnazione di nomi fantastici, sulla scoperta del valore delle macchie di colore, sulla ricerca di significati imprevisti e di forme nascoste da nominare e quindi far esistere.

Personalmente sono emozionatissima per almeno due motivi.

È la prima volta che posso vivere un’intera giornata con il mio Maestro in persona, colui che a partire da Il paese sbagliato C’è speranza se questo accade al Vho, mi ha insegnato ad insegnare, mi ha indirizzato sulla produzione del giornalino di classe, mi ha proposto il valore della ricerca e uno stile di rapporto con bambini e bambine, che ho cercato di adattare alle mie caratteristiche.

Il secondo motivo riguarda il fatto che Mario non era soddisfatto di come precedenti documentari lo avevano rappresentato e non ne aveva fatto mistero in fase di elaborazione della sceneggiatura;  la sfida quindi per me e Vinz, che avrebbe ripreso montato e sonorizzato il lavoro, era aperta e assai impegnativa.

Riporto qui di seguito (con qualche immagine di frame preso dal vhs e quindi poco definita secondo gli standard attuali) uno dei molti momenti di quella memorabile giornata in cui Mario, senza pedanteria didascalica, insegna a noi adulti un metodo di lavoro, il rispetto della ricerca e la curiosità necessaria a praticarla, la capacità di superare gli stereotipi impegnandosi seriamente nell’ascolto, la conoscenza della peculiarità dell’estetica infantile, la naturalezza con cui si sceglie il linguaggio da porgere ai più piccoli e la disponibilità dello sguardo e dei gesti, l’autorevolezza del proporre ciò in cui si crede perché lo si vive.

Il maestro è con un gruppetto durante una fase di laboratorio in cui si utilizzeranno le macchie di colore prodotte dalla pulitura dei pennelli appena utilizzati per altro, su un grande foglio che si è riempito di mille macchie e pennellate di tutte le sfumature.

Mario osserva e dichiara:

“Ci sono dei colori messi a caso, disordinati, ma può darsi che fra questo disordine ci sia nascosto qualcosa di interessante”.

Un bambino scopre subito un drago e Mario immediatamente raccoglie la visione e la va a cercare con una finestrina, ritagliata nel cartoncino, e commenta:

“Si tratta di andare in cerca di qua, di là. Quando vedete che c’è qualcosa che sta bene…”.

Mentre parla la sua mano ruota la finestrina e trova qualcosa che gli piace ma chiede immediatamente ai bambini se  piace anche a loro.

Nessuno raccoglie il suo suggerimento e lui lo abbandona immediatamente, non cerca di convincerli della bontà della sua scoperta, non veicola estetiche adulte, accetta umilmente solo quelle di bambine e bambini in ricerca.

Riprende:

“Voi andate a cercare da tutte le parti…”.

Una vocina lo interrompe e suggerisce di aver scorto un pesce. Immediatamente sorpreso e curioso Mario chiede:

“Dov’è il pesce, c’è un pesce?”

E si mette a cercarlo orientando la finestrella fino a trovarlo, a essere perfettamente in sintonia con la visione della bambina che lo aveva individuato e la rassicura: “Dopo lo ritagliamo”.

E poi indica:

“Allora qui con la matita ci fai la cornice e lo mettiamo sopra lì”.

Ora spiega, rinforza, suggerisce anche la pista astratta e non necessariamente figurativa:

“Il gioco è questo: andate alla ricerca di qualcosa di bello, anche se non assomiglia a un pesce, anche se non è un mostro… dei colori che stanno bene insieme…”.

Un bimbo lo interrompe ancora e lui:

“Aspetta…”.

Allunga una mano come a rafforzare quell’invito, come il direttore d’orchestra che dirige e autorevolmente chiede, rivolto al gruppo che scalpita per cominciare il gioco:

“Avete capito bene? Avete capito tutti?

Se non trovate niente, niente”.

Avete capito bene, avete capito tutti…

È necessario non dare nulla per scontato, capire bene, non accontentarsi di credere di aver capito, capire tutti, anche quelli che si sono distratti, anche quelli che fanno più fatica.

La frase finale è un capolavoro pedagogico, il manifesto del come fare scuola.

Non c’è nessun dovere per compiacere nessuno, se hai capito bene, se cerchi con serietà e curiosità, se ti dai il tempo necessario ma non riesci a trovare, va bene così.

Se non trovate niente, niente!

Ecco qui.

Non è che un ritaglio, un piccolo ricordo, a partire dall’esperienza, realizzata nel 1996 presso la Casa delle Arti e del Gioco a Drizzona, che vedrà nascere il documentario di meno di mezz’ora, dal titolo Emozioni di Colore, una giornata presso la casa laboratorio di Mario Lodi.

A Mario era piaciuto, quando gli abbiamo mostrato il premontato per la sua approvazione.

Ci si era visto come in uno specchio fedele:

“Finalmente un documentario in cui mi riconosco, sì, sono io”.

È stato come vincere l’Oscar.

Grazie Mario, maestro delle maestre e dei maestri, allievo delle bambine e dei bambini, poeta dal garbo profondo e gentile.

Pubblicato il: