Bruno Vezzoni
ex dirigente scolastico
Ho conosciuto personalmente Mario quando cominciai la mia professione di insegnante nei primi anni 70. Dopo avere letto le sue prime pubblicazioni, mi sono sentito in grande sintonia con i suoi metodi di studio e di lavoro. Ho anche cercato di applicare alcune sue pratiche didattiche a partire dallo studio della storia attraverso le interviste degli alunni ai loro familiari e avviando l’esperienza del giornalino di classe. Conservo ancora un lavoro fatto in classe con il registratore a nastro (il classico Geloso) sulla prima guerra mondiale, in cui si alternano ai brani di testimonianze raccolti dagli alunni i canti sulla guerra del Gruppo Padano di Piadena, di cui Mario è stato importante animatore.
L’interesse per le sue pubblicazioni e per gli autori da lui spesso citati per una nuova pedagogia democratica e per una scuola che formasse il cittadino di domani si incontrava con le mie convinzioni politiche e con il conseguente impegno civile e sociale.
Ebbi la fortuna di frequentare la sua casa come amico di famiglia e di vederlo spesso all’opera la sera mentre preparava il lavoro per la scuola. Quando entravo in casa sua e vedevo il suo studio tappezzato di libri in ogni angolo delle pareti avevo la sensazione di trovarmi in un laboratorio dove si elaboravano le pratiche per una scuola innovativa. Non era raro trovarlo impegnato con pedagogisti provenienti da ogni parte del paese per discutere proposte da portare al dibattito pubblico.
Nonostante la sua sempre crescente notorietà che lo portava spesso lontano da casa per partecipare a convegni e a incontri ad alto livello con i personaggi famosi delle riviste specializzate o con gruppi di docenti che lo chiamavano da ogni parte d’Italia, non si allontanò mai dalla sua scuola di un piccolo paese della Bassa padana. E questo tratto della sua personalità ne ha fatto un personaggio apparentemente schivo. Chi lo ha conosciuto nel suo quotidiano non può dimenticare il suo eloquio semplice, il suo modo di porgere senza alzare il tono di voce, un modo di sviluppare concetti profondi con parole piane che tutti potevano comprendere.
Ebbi modo di apprezzare tutte queste qualità quando mi invitò a fare una vacanza in Sardegna con le nostre famiglie. Fu un mese indimenticabile che noi adulti con i nostri bambini sfruttammo per goderci il mare, mentre lui al mattino andava a fare la spesa per tutti e poi si dedicava a scrivere storie per un giornale nazionale.
Poi quando al pomeriggio ci raggiungeva in spiaggia portava con sé tavolozza e acquerelli per realizzare alcuni bozzetti di paesaggi marini, di cui conservo ancora non solo la memoria ma le tavole incorniciate. Ma ciò che più mi colpiva era la sua attenzione ai giochi dei bambini, la sua curiosità di ascoltare le loro conversazioni. Spesso ci diceva “sentite quello che dicono e poi riferitemelo”. La sua curiosità di ascoltare non era mai in vacanza. Da lì anch’io ho capito perché la sua scuola non era basata sulla trasmissione del sapere, ma sull’ascolto di ciò che i bambini vedevano e raccontavano del proprio vissuto. Una scuola basata sulla didattica cooperativa che prevedeva nel lavoro in classe la centralità dei bambini che lavorano insieme, imparano a lavorare tra loro piuttosto che dipendere totalmente dalle parole del maestro. Quanto siamo lontani dalla scuola del “merito” che si propugna in questa nuova temperie politica dominata dall’omologazione e dalla cancellazione del pensiero critico!!!