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Daniele Novara, pedagogista

direttore CPP Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti


Mario Lodi aveva all’incirca l’età di mio padre. La nostra fu una frequentazione fondata su ammirazione, stima e riconoscimento di tutto quello che aveva vissuto e realizzato. La prima volta che lo incrociai direttamente fu nel 1986 ad Assisi al convegno Liberare l’educazione sommersa organizzato con la rivista dei padri saveriani CEM Mondialità, a cui collaboravo da qualche anno, nonostante fossi ancora piuttosto giovane. Al grande appuntamento era previsto, come ospite d’onore, Paulo Freire.

Parteciparono anche Mario Lodi, Monsignor Tonino Bello e tanti altri con cui condividemmo un’esperienza straordinaria, molto carica di passione pedagogica, con l’idea, già dal titolo, di rilanciare quel discorso su una scuola diversa che aveva visto protagonista proprio Mario Lodi e tutto il movimento di cooperazione educativa tra gli anni Sessanta e Settanta. Ma già nel decennio successivo, definito “di riflusso”, queste luci cominciavano a spegnersi. Da allora non ci perdemmo più di vista, anche perché Mario era molto interessato al tema dell’educazione alla pace che portavo avanti in maniera specifica. Proprio in quegli anni – nel 1989 – fondai il Centro Psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti – oggi il termine “educazione” ha sostituito la parola “pace”. Mario credeva moltissimo nella necessità di coltivare valori di pace. Questo suo approccio era senz’altro dovuto anche alla tragica esperienza, vissuta quando era poco più che adolescente, del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale.

Convegno “Liberare l’educazione sommersa”.

Ho sempre avuto l’impressione che si fidasse di me per questa comune passione per l’educazione alla pace. Raramente si tirava indietro davanti a un mio invito o una proposta. Partecipammo insieme al convegno sulla memoria alla Fondazione Fossoli di Carpi; realizzammo nel 2004 il convegno sulla Città dei Bambini a Piacenza; portai a Valenza la sua mostra sui disegni infantili nell’ambito della rassegna L’età creativa.

Conservo un bellissimo ricordo di un viaggio assieme in auto verso Senigallia nel novembre 2004 dove eravamo stati invitati alla Scuola di Pace a parlare di democrazia. Lo portai ancora a Piacenza nel 2006 nell’ambito del festival Le fabbriche della felicità: mille persone, ma soprattutto i bambini della città, riempirono il teatro per assistere alla messa in scena, da parte dell’attrice Marina De Juli, di Storia di un’antenna, uno dei tanti racconti che Mario aveva realizzato con i suoi alunni.

I momenti sono stati molteplici e i ricordi sono sempre legati alla sua amicizia, alla sua capacità di ascolto, come anche alla confidenza che si era creata tra noi. Ricordo che una volta, mentre eravamo in macchina per Valenza, mi aveva sgridato perché guidavo con troppa irruenza.

Daniele Novara con Mario Lodi sul palco del teatro Politeama.

In particolare, quel lungo viaggio da casa sua a Senigallia fu bellissimo perché ebbe la possibilità di raccontarmi tante sue esperienze. Tra queste, l’importantissimo incontro con don Milani al quale trasmise il metodo della scrittura collettiva. Difficile sentir dire da Mario, in pubblico, che fosse stato proprio lui a insegnare a don Lorenzo, nei loro incontri, questa tecnica così preziosa per i grandi documenti della Scuola di Barbiana come Lettera a una professoressa o Lettera ai giudici.

La modestia era davvero la misura della sua esistenza, nonostante negli ultimi anni fosse arrabbiatissimo per una scuola che era tornata a essere nozionistica, senza quella vitalità che lui avrebbe sperato. Lo frustrava anche la deriva della televisione su cui lui, come Alberto Manzi, aveva puntato come elemento di emancipazione e di riscatto. Vederla trasformarsi in un momento di puro e semplice consumismo e passività lo amareggiava particolarmente. Erano anche altri gli argomenti che lo mandavano su tutte le furie: ricordo quando, durante il convegno a Carpi, parlando di letteratura infantile, se la prese con coloro che sostenevano che i bambini potessero leggere tranquillamente i libri dell’orrore!

Marina De Juli in scena

Immaginare storie assieme ai bambini è, secondo me, la sua invenzione pedagogica più straordinaria. Saper dare voce alla fantasia e alla creatività dei suoi alunni e, successivamente, dei piccoli che lo andavano a trovare nella Casa delle Arti e del Gioco.

Riconosco questo suo particolare contributo alla storia dell’educazione che oggi meriterebbe nuove puntate e nuove possibilità perché l’immaginazione dei bambini rischia di finire schiacciata da un enorme soffocamento tecnologico e virtuale che spegne la possibilità di costruire mondi fantastici e narrativamente inediti. Quando scrisse TV a capotavola fu per avvertire di questo pericolo: che ne sarà della possibilità che i bambini continuino a scrivere storie se, invece che ascoltarli e raccogliere la loro fantasia e immaginazione, li si mette davanti a un videoschermo? Penso che in questa preoccupazione sia stato terribilmente profetico.

piacenza 13 maggio 2004 convegno laboratori spazi in liberta ( foto cravedi )

Per un caso assolutamente fortuito, l’ultimo libro uscito mentre era ancora in vita è, per motivi editoriali, firmato assieme. Alice nel paese dei diritti, per la casa editrice Sonda, in qualche modo suggella la nostra amicizia in maniera involontaria, ma senz’altro è per me un grande onore poiché tratta il tema dei diritti dei bambini su cui ci siamo entrambi battuti tantissimo.

Infine, sono onorato di aver partecipato come giurato al Premio Unicef 2000 e in quell’occasione aver caldeggiato il conferimento del premio proprio a Mario Lodi. Grazie Mario, resti per sempre con chi si batte per un’infanzia libera e creativa.

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