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Simona Frattari,

pedagogista e insegnante scuola primaria ed infanzia


Mario Lodi è il maestro che tutti avremmo voluto avere, almeno io sicuramente: pacato, attento alle esigenze dei bambini, sempre paziente e disponibile. Un maestro che si esprimeva con la calma e la semplicità di chi è abituato a farsi capire da tutti arrivando al cuore delle cose.

Ho scelto di avvicinarmi alla sua pedagogia, perché dopo averlo conosciuto, purtroppo non di persona, ma solo attraverso i libri e le testimonianze raccolte, mi sono innamorata del suo essere maestro. Lo considero come un esempio da seguire, un maestro da cui prendere spunto nel modo di porsi con i bambini, con i colleghi e con la didattica in generale. Mi sono identificata in molte delle sue tematiche trattate sperimentando in prima persona la scuola, sia con il tirocinio universitario, sia come educatrice per disabili e da un anno come insegnante.

La mia esperienza mi ha permesso di osservare, riflettere e soprattutto ripensare la didattica in altri termini, che non sono quelli di una scuola trasmissiva e con l’obiettivo di far uscire bambini “stampo”, ma un mondo ricco di esperienza, vissuti, racconti e condivisione: un mondo dove il bambino è il protagonista, proprio come lo intendeva Mario Lodi.

A Mario Lodi dobbiamo molto, perché ci ha ricordato che insegnare è soprattutto un mestiere che ti mette in gioco in quanto persona e che è impossibile esercitare senza guardarsi dentro, senza sentire una forte responsabilità nei confronti delle generazioni a venire. L’insegnante deve essere generoso e non tendere alla perfezione, perché il bambino cerca in noi un punto di riferimento, un supporto con cui crescere e non un esempio da imitare come assoluto. Un insegnante dovrebbe essere responsabile nel mobilitare gli alunni, mettendoli nelle condizioni di agire impegnandosi direttamente a comporre, scrivere, disegnare e costruire. Questo è un tema fondamentale per la società attuale, che invece si basa soprattutto su metodi trasmissivi che inculcano un sapere, che rimane fine a sé stesso, senza una concreta applicazione pratica nella vita e senza trasmettere nessun interesse nel bambino, che molte volte scrive, ripete e calcola senza sapere neanche il motivo di ciò che sta facendo.

Un altro importante argomento su cui ho riflettuto e su cui Lodi si è molto dibattuto è stato l’utilizzo degli strumenti a disposizione all’interno della scuola, che non fossero uguali per tutti, ma adatti a tutti: il suo rifiuto al protagonismo del libro di testo voleva essere una condizione per far riflettere gli insegnanti su come un libro di testo unico poteva trasformarsi solo in uno strumento ideologico che dava un sapere prefabbricato ai loro alunni e niente più. Lui, invece, incentivava l’importanza della lettura e la realizzazione pratica di storie o testi partendo dall’osservazione e dall’esperienza dei bambini, in modo che gli alunni avessero la vera possibilità di apprendere nozioni utili alla loro vita ed efficaci per il loro futuro. Consiglio vivamente la lettura del libro “Cipì” e di come è nato, per capire come era semplice ma efficace la sua scuola!

Tutto ruotava intorno all’esperienza, alla pratica, al vissuto e i bambini apprendevano con piacere, perché erano loro stessi autori e protagonisti di ricerche e produzioni scritte.

Il tutto contornato dal disegno, uno degli strumenti più importanti per il maestro, che permetteva al bambino di immergersi nel magico mondo della fantasia e creare, creare e inventare. Le condizioni necessarie per lo sviluppo della creatività e della fantasia nei bambini dipendono dal supporto di noi adulti con la lettura di libri, storie e racconti, ma anche attraverso le importanti opportunità, che possiamo offrire loro tramite esperienze originali, autentiche e reali, ma soprattutto tramite il gioco. Proprio del gioco, Lodi, ha cercato di far capire quanto fosse importante per i bambini, poiché rappresenta il loro vero lavoro, la loro prima fonte di conoscenza e reinterpretazione. Non un gioco fine a sé stesso, come la maggior parte degli adulti tende ad etichettare, da svolgere nei momenti di tempo libero o come “tappabuchi”, ma un mezzo per esplorare il mondo nei suoi più disparati aspetti, per imparare e progredire.

Proprio queste sono le caratteristiche che mi hanno permesso di riflettere sulla mia esperienza nel complesso mondo della scuola. Durante questo primo anno da insegnante ho cercato di vivere e applicare la pedagogia lodiana, perché ritengo essenziale modulare l’attività proprio pensando al bambino, soprattutto ai giorni d’oggi, dove la fretta e l’ansia di fare e mostrare ci mette di fronte a molteplici ostacoli.

Dobbiamo pensare prima di tutto ai bambini che abbiamo di fronte, alle loro richieste e alle loro necessità, che a volte non sono espresse, ma lasciate intendere. Se siamo attenti, ma attenti davvero, possiamo fare molto con poche cose. Perché dobbiamo sempre ricordare che i nostri bambini, da grandi, magari non ricorderanno i Babilonesi o i Cretesi, le proprietà delle operazioni o le parole dei poeti, ma non devono dimenticare di esprimersi in qualsiasi modo, di dare voce ai loro pensieri, di non rimanere in silenzio davanti alle ingiustizie, di non essere indifferenti né ingiusti, ma dei veri cittadini responsabili.

“A conclusione la scuola ce la può fare e la speranza di cambiare le cose non muore mai”.

J.Meda, “Intervista a Mario Lodi”
“Con le mani in pasta”. Bambini della scuola dell’infanzia (sezione mista). Attività manipolative con la stoffa, la creta e altri materiali comuni, con i quali i bambini imparano a rapportarsi, a conoscere e ad utilizzare seguendo l’istinto e la fantasia.

 

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