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Mauro Presini

maestro elementare


Ci ho pensato varie volte e ormai credo fermamente che se non avessi incontrato Mario Lodi non sarei diventato un maestro elementare.

Il significato di “incontro” è molteplice e va inteso in tre modi diversi: attraverso le letture dei suoi libri, tramite una corrispondenza epistolare e di persona alla Casa delle Arti e del Gioco.

Mi iscrissi all’istituto magistrale convinto di voler insegnare educazione fisica, forse perché il mio professore di allora era capace di vedere i suoi studenti, di ascoltarli e di consigliarli… qualità che, fino a quel momento della mia vita scolastica, non avevo conosciuto negli altri miei insegnanti.

Poi le cose andarono diversamente per motivi vari: uno dei principali fu sicuramente la scoperta di una scuola diversa da quella che avevo subito direttamente cioè di una scuola in cui i protagonisti attivi potevano essere finalmente i bambini e le bambine, insieme ai loro maestri.

Devo riconoscere che la lettura di C’è speranza se questo accade a Vho, Il paese sbagliato, Insieme, oltre ad aprire dentro di me un sentiero di speranza, mi hanno aiutato a scoprire una strada attualissima di impegno per provare a migliorare, nel mio piccolo, le relazioni all’interno della scuola fra adulti e bambini, per accogliere tutte le diversità, per riuscire a praticare una scuola inclusiva che facesse star bene tutte e tutti e dove si potesse imparare insieme in un contesto democratico.

Ricordo che leggere le esperienze e le riflessioni di Mario, insieme ai pensieri e alle proposte dei suoi alunni, era davvero corroborante per me ma, soprattutto, sentivo che il messaggio che mi arrivava aveva una potenza enorme: diceva che un’altra scuola è possibile, un altro modo è possibile, e quindi, un altro mondo è possibile.

La grande forza di questo messaggio si trasformava in potenza enorme proprio grazie alla credibilità che lo accompagnava; non era un professore universitario che vedeva i bambini dalla finestra o che stava predicando teorie ma un maestro, dei bambini e delle bambine che stavano raccontando insieme.

Stavano raccontando il loro mondo e contemporaneamente ci stavano parlando di come tutti imparavano e insegnavano, indipendentemente che fossero maestri o bambini.

Ci stavano illustrando una scuola palestra di democrazia, laboratorio di cultura, officina dei saperi, allevamento di speranze.

Da allora ho iniziato a studiare seriamente, a fare esperienze di volontariato, a lavorare nell’extra scuola, a impegnarmi nel difficile percorso dei primi anni di inserimento scolastico dei bambini e delle bambine con disabilità nella scuola pubblica e nella transizione di alcuni di loro dalle scuole speciali alle classi comuni della scuola pubblica.

Dopo aver lavorato alcuni anni nella scuola come educatore di sostegno, sono diventato maestro elementare di ruolo su posto di sostegno lo stesso anno in cui usciva il primo numero di “A&B”, Adulti e Bambini che vogliono diventare amici.

Ne sono rimasto colpito ed emozionato: Mario, insieme ai suoi collaboratori, era riuscito a mettere in pratica concretamente l’articolo 21 della nostra Costituzione.[1]

Mi sono nutrito dell’energia pulita e rinnovabile contenuta in quelle pagine

Quando sette anni dopo, nel 1992, ho chiesto e ottenuto il passaggio al ruolo comune, insieme ai bambini e alle bambine della classe terza di allora, siamo riusciti a realizzare il nostro piccolo sogno: abbiamo fondato il nostro giornale dei bambini: “La Gazzetta del Cocomero”.

Nei primissimi anni è stato lo strumento di comunicazione della sola classe in cui lavoravo ma poi lo è diventato di tutte le cinque classi del plesso “Bruno Ciari” di Cocomaro di Cona, una piccola frazione vicina a Ferrara, dove lavoro dal 1985.

È sempre stato un giornale autoprodotto, senza pubblicità, che si regge con una gestione fatta dai bambini e dalle bambine delle varie classi, i quali si ripartiscono i compiti che servono per le quattro pubblicazioni annuali di 20 pagine ognuna.

Tutti scrivono e disegnano, poi c’è chi si occupa del bilancio, chi di curare gli abbonamenti, chi di tenere un indirizzario degli abbonati, chi di spedire le copie.

Ancora oggi, a pochi giorni dall’uscita del numero 88, i soldi per poter fare il giornale arrivano da tutti coloro che si abbonano, che lo leggono e che ci credono; questo ci consente di poter spedire copie gratuite alle biblioteche cittadine, agli ambulatori di neuropsichiatria della città, ai consultori pediatrici e alle sezioni oncologiche pediatriche di una ventina di ospedali italiani.

Questa gestione cooperativa ha permesso di far capire concretamente a tutti che il poco di tanti aiuta a realizzare le iniziative che interessano o, molto più semplicemente, che il futuro si può cambiare se ci si impegna, nel proprio piccolo, insieme.

È anche grazie a queste nuove energie collegate fra loro che, anni dopo, insieme ai genitori abbiamo costituito l’associazione di promozione sociale “I bambini del Cocomero” che si propone di promuovere e valorizzare la cultura dell’infanzia.

Quando ho incontrato Mario ho sentito vivo il suo interesse riguardo al nostro giornale e alle nostre esperienze scolastiche e, oltre a provare un’emozione profonda, sono rimasto colpito dalla sua umiltà, dalla sua delicatezza, dalla sua coerenza, dalla sua capacità di ascolto, dalla sua attenzione alla creatività e dalla profonda semplicità con cui riusciva a valorizzare le persone e a tradurre in pratica le idee.

Non avrei fatto il maestro, e comunque non sarei la persona che sono, se non avessi incontrato Mario Lodi.

Dovremo ricordare sempre l’incredibile messaggio di speranza che continua a trasmetterci ma soprattutto dovremo dirgli grazie per continuare a ricordarci che “il futuro ci passa sempre davanti” e che per realizzarlo migliore di questo presente imperfetto bisogna imparare “ad essere laboriosi per mantenersi onesti, ad essere buoni per poter essere amati, ad aprire bene gli occhi per distinguere il vero dal falso, ad essere orgogliosi per difendere la libertà” [2]

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[1] “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

[2] Dal finale di Cipì.

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