Maria Concetta Messina,
dirigente scolastica Istituto Comprensivo Parco di Veio (Roma)
Il bello di commemorare un Grande come Mario Lodi, sta soprattutto nella possibilità di chiedersi quali sarebbero stati oggi i suoi insegnamenti, di interrogarsi su quanto e in che termini il suo pensiero e il suo agire debbano ancora essere considerati validi ed attuali.
Nell’articolo di Paolo di Stefano comparso qualche giorno fa sul Corriere della Sera, si legge che per il Maestro di Piadena “Senza conoscere la realtà del bambino non possiamo illuderci di insegnare”.
Nell’ ormai lontano 1985, i Programmi scolastici Nazionali di allora, documento per molti versi ancora avanguardistico, fecero di questa massima il centro dell’impostazione metodologica di ogni disciplina. Eppure, nonostante appaia molto semplice, l’assunto resta ancora di complicatissima applicazione.
Per Mario Lodi ad esempio significava spiegare i concetti matematici partendo dall’esperienza che gli alunni vivevano in quel mondo contadino della pianura Padana nel quale erano immersi. Si portava in classe l’osservazione dei fenomeni atmosferici compresa la direzione dei venti e si calcolavano distanze partendo da quelle reali tra le abitazioni dei bambini. In questo modo si rendeva necessaria una prima problematizzazione dei vissuti condivisi, quindi si avviavano la riflessione e il ragionamento e solo alla fine, in modo naturale, si contribuiva a sviluppare categorie concettuali più generali e si favoriva il pensiero critico.
“Assieme” ripeteva spesso il maestro Lodi, a sottolineare che ogni apprendimento scolastico non potesse prescindere da una mise en place della vita, nella piccola comunità scolastica costituita dalla classe.
Un mondo che cambia
Ma il contesto nel quale si muoveva la figura del pedagogista era molto diverso da quello odierno. Come ho già accennato, egli aveva a che fare con un substrato culturale e sociale semplice, univoco ed uniforme. I valori di riferimento erano quelli indiscussi della religione cattolica, della famiglia tradizionale, del rispetto per le istituzioni, del senso di appartenenza alla storia e alla lingua della nazione. Al contrario, le nostre classi sono ora popolate da alunni di diverse etnie e di diversi credi che fanno esperienze di vita a volte distanti tra loro. Le agenzie formative e informative si sono moltiplicate, come anche le sollecitazioni cui vengono costantemente sottoposti i bambini. Senza parlare della rivoluzione digitale in atto.
A tutti questi cambiamenti la scuola primaria ha risposto con un proliferare di proposte didattiche e di nuove conoscenze che riempiono le pagine dei libri di testo e che hanno portato ad una crescita a dismisura del numero dei volumi scolastici destinati anche ai più piccoli in una cornice di sempre maggiore parcellizzazione e settorializzazione dei saperi.
Pensiamo solo a quanto negli ultimi tempi si sia voluto ampliare e approfondire il programma sulla preistoria per la classe terza che rischia di perdere di vista l’acquisizione dei fenomeni chiave, e delle loro cause e conseguenze, a scapito di una infruttuosa memorizzazione di date e nomi.
Disorientamento
È un po’ a causa di tutto ciò che nella scuola si respira oggi un clima di generale disorientamento da parte degli educatori.
E spesso la direzione intrapresa, di fronte alla complessità sociale e alla richiesta di programmi scolastici sempre più corposi, è paradossalmente quella dell’affidarsi ad attività standardizzate e rapide, prive di quella particolarità che viene dal dialogo lento, paziente e costante con i bambini.
Per promuovere ad esempio il senso del tempo della giornata con i bambini di prima, l’attività inizia e finisce con la lettura di una fotocopia di uno stereotipato Luca che si veste al mattino, va a scuola, fa i compiti nel pomeriggio e si riposa alla sera. Si parte cioè da quella generalità che al contrario dovrebbe costituire la fase finale e la conclusione sintetica di un’attività da avviarsi piuttosto con il resoconto e l’analisi delle giornate di tutti i bambini.
Per spiegare le frazioni si parte dalla immagine della torta fatta a fette e raramente da un problema concreto di equità sociale che venga fatto sorgere in classe. Per insegnare a descrivere si danno agli alunni delle tabelle sinottiche piene di aggettivi e si dice che bisogna ricorrere ai cinque sensi, ma quasi mai si “perde” in classe mezz’ora di tempo per gustare assieme lo yogurt fornito dalla mensa e rilevarne la consistenza, la cremosità, il gusto e il profumo. Si rischia sempre di partire dalla fine e di perdere per strada i processi, che sono poi quelli che restano.
La scuola è un assieme
Il maestro Lodi per spiegare il bilancio partiva dall’esperienza di Gianbattista che racconta ai compagni di suo zio che ha una bancarella al mercato e continua con Anna (nome di fantasia) che racconta dei conti fatti da suo papà: a maggior ragione, nelle nostre classi multietniche dove è la differenza a farla da padrone, è ancora una volta dalla conversazione con i bambini che bisogna ripartire. Ed è opportuno stimolare e sfruttare tutte le esperienze collettive. Giocare assieme, uscire assieme, osservare assieme, leggere assieme e risolvere assieme problemi.
Così un cinghiale entrato casualmente nel cortile della scuola può offrire lo spunto per stimolare il pensiero ipotetico, per avviare una ricerca scientifica sulla specie animale o per individuarne la sua geolocalizzazione nel territorio della propria regione.
Così l’osservazione del comportamento di alcuni pappagalli durante una ricreazione può essere finalizzata al racconto scritto in classe prima o allo studio delle situazioni che hanno consentito l’arrivo nelle nostre regioni di questi uccelli tropicali.
Così una serie di uscite attorno alla scuola può portare alla costruzione di un plastico che avvii al concetto di mappa e di carta geografica.
Così la nascita di un fratellino ospitato in classe per qualche ora può portare ad una raccolta di dati sui comportamenti tipici di un neonato o sui cambiamenti emotivi che un nuovo arrivato genera in una famiglia.
Credo in definitiva che questo sia il lascito attualissimo di Mario Lodi, quello di prestare molta attenzione a ciascun intervento formativo invertendone la rotta: dal basso (dove per basso si intende il vissuto del bambino) verso l’alto, dal semplice al complesso.
Per dirla ancora con le sue parole, ascoltabili su YouTube, “c’è chi obietta che sono cose banali, cose “minime” (riferito all’analisi delle piccole cose quotidiane del bambino), che il bambino deve imparare cose più importanti. È vero, le cose importanti devono essere imparate, ma ci si deve arrivare. La vita del bambino non può essere buttata a mare perché ciò che per noi è banale per lui non lo è. Sono i rapporti con i famigliari, il rapporto con l’ambiente che lo circonda. La scuola deve far emergere questi temi e analizzarli assieme perché attraverso il loro sviluppo ci colleghiamo alla realtà più ampia e ai problemi generali.”
Grazie Maestro Mario