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Umberta Longo

ex alunna


Scuola di Vho, maestro Mario Lodi, ciclo scolastico 1964 – 1969.

Mi ricordo ancora perfettamente il primo giorno di scuola. Era il 2 ottobre 1964, esattamente 58 anni fa… allora la scuola iniziava il primo ottobre ma cadendo di giovedì era vacanza.

Mi aveva accompagnato mia mamma… varcammo il portone altissimo, il soffitto aveva le travi, alzando gli occhi si potevano scorgere dei nidi di rondine oramai vuoti. L’atrio era ampio e dalla parte opposta all’entrata era aperto e si sfociava in un cortiletto con il pavimento in cemento e ai lati c’erano delle piante di rosa. Alla destra dell’ingresso la porta dell’abitazione della bidella Franca.
Verso la fine dell’atrio, sulla sinistra, lo scalone che portava al piano superiore dove c’erano le aule.

Pioveva quel giorno e c’era un gran frastuono di bambini vocianti. Avevo ricevuto tutte le raccomandazioni del caso di comportarmi educatamente e le solite cose che si dicevano ai bambini e poi che avrei avuto non una maestra ma un maestro.

Nella mia testa di bambina pensavo che un uomo sarebbe stato più severo, così cercavo di immaginare il mio maestro: chissà se sarà giovane o vecchio alto o basso, se sarà paziente e così via.

Dopo la messa di inizio anno siamo saliti nell’aula.

L’aula era piccola, c’era una lavagna a muro con sotto una predella (dove poi avremmo fatto le nostre rappresentazioni), non c’era la cattedra e il maestro sedeva su una seggiolina. Il pavimento era sconnesso, le pareti grigie e i tavolini verdi.

C’erano 2 finestre da cui si vedevano i tetti a coppi della casa di fronte.

Ed ecco il mio maestro! È alto, longilineo ha i capelli bianchi, gli occhi azzurri, veste un maglioncino a collo alto azzurro e i pantaloni di flanella grigi, parla con voce bassa e scandisce le parole, sembra molto dolce, ci invita a presentarci dopo essersi presentato a noi. Eravamo 9 bambini in tutto: tre maschi e sei femmine.

Parliamo di noi e iniziamo a conoscerci, poi improvvisamente si scatena un grosso temporale e inizia a piovere copiosamente, il nostro interesse si sposta al di fuori dalla finestra dove siamo corsi per vedere la pioggia che picchia sui vetri e scende a fiumi sui tetti.

Ci scambiamo le nostre osservazioni sul tempo, qualcuno ha paura.

“Perché non la disegnate?” ci dice il maestro intanto che distribuisce un foglio ad ognuno.

I disegni vengono appesi alla parete, il maestro ce li fa commentare. Fabio ha un’intuizione improvvisa, picchia con le dita sul banco per riprodurre il suono della pioggia, poi con le nocche per simulare la pioggia che aumenta sempre più.

Noi tutti lo imitiamo e siamo contenti di essere riusciti a riprodurre l’idea della pioggia.

“Voi avete raccontato che piove con i colori, i suoni ma c’è un altro modo per raccontarlo” dice il maestro e scrive alla lavagna e legge la parola PIOVE e ci invita a scriverla sotto il disegno.

Copio la prima parola che ho imparato vicino al disegno e sul quadernino a righe (una volta i quaderni erano piccoli).

La scrittura era incerta e tutta storta, la lettera O smisurata, ma io ero orgogliosa di avere scritto la prima parola della mia vita.

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