Anna Valera
maestra e formatrice
Il mio primo incontro con Mario fu quasi clandestino, infatti lessi Il paese sbagliato di nascosto durante le lezioni in classe, rischiando di essere sospesa. Frequentavo l’ultimo anno delle magistrali, ma non avevo ancora capito cosa volesse dire essere maestra.
Fu questa lettura che mi scosse dal torpore e mi diede una carica immensa che mi permise di affrontare gli esami di maturità con la consapevolezza del compito importante che mi aspettava se mi fossi diplomata; riuscii infatti, con lo stupore degli insegnanti, di me stessa e dei miei genitori, ad affrontarli e a superarli in modo brillante, a dispetto di una carriera scolastica mediocre, per non dire scadente.
Mi ricordo ancora oggi il titolo del primo capitolo di quel libro, Lettera a Katia. Lettera che io lessi più volte, immaginando che fosse rivolta me.
Prima di continuare questo scritto, ho sentito il desiderio di rileggerla perché mi aveva aiutato a capire quanto fosse importante per diventare una buona maestra “stare dalla parte dei bambini”. In particolare riporto un passo, che ritengo ancora attuale, in cui Mario descrive la scuola:
“Distruggere la prigione, mettere al centro della scuola il bambino, liberarlo da ogni paura, dare motivazione e felicità al suo lavoro, creare intorno a lui una Comunità di compagni che non gli siano antagonisti, dare importanza alla sua vita e ai sentimenti più alti che dentro gli si svilupperanno, questo è il dovere di un maestro, della scuola di una buona società…”.
Rileggendo queste parole dopo 50 anni mi convinco sempre di più che la scuola italiana non è cambiata molto e dal cuore mi sale un ringraziamento per quel maestro e per la rivoluzione gentile che aveva messo in atto. Rivoluzione che ha aiutato me e tante altre persone a capire quanto fosse importante “partire dall’amore dei bambini, ponendosi in un atteggiamento di fiducia e accettazione delle loro capacità”.
Quell’incontro quasi sottobanco è stato per me l’inizio di un cammino non facile ma entusiasmante, che non si è ancora interrotto. Passo dopo passo, ma anche sbaglio dopo sbaglio io ho imparato a costruire la mia identità di maestra tenendo fede all’ideale di Mario: mettersi in ascolto dei bambini, stare dalla loro parte, condividere le loro scelte, preoccuparsi più dell’educare che dell’insegnare.
Arrivò poi il momento di ascoltarlo nelle conferenze e di approfondire il suo pensiero pedagogico nei corsi di aggiornamento che nel territorio in cui abitavo venivano organizzati da colleghi che lo conoscevano. Ho avuto così la fortuna di incontrare altre maestre e altri maestri coi quali, accompagnati da Mario, abbiamo costruito Comunità di ricerca. Insieme cercavamo di mettere in comune buone pratiche educative che partivano da un sapere costruito insieme agli allievi, un sapere che veniva dall’esperienza, non preconfezionato da altri.
Da ultimo, con grande gioia e soddisfazione, ho avuto il piacere di conoscere Mario Lodi personalmente, di frequentarlo fino a diventare socia fondatrice della Casa delle Arti e del Gioco e di collaborare nei corsi di aggiornamento.
Fu durante questo periodo di collaborazione che successe un episodio per me importante e che mi piace qui ricordare, perché mette in luce quanto la sua essenza di maestro fosse davvero quella di fare dono di sé agli altri.
Un incontro in cui riuscii a godere direttamente di questa sua grande capacità empatica, non solo di comprendere, ma di condividere, di meravigliarsi, di gioire di ciò che di bello e importante veniva fatto dagli altri. Fu il giorno in cui con i nostri alunni e alunne io e la mia collega Carla eravamo sotto il portico della cascina a Drizzona dove avevamo appena rappresentato Sogni in una bolla. Ricordo Mario, alla fine dello spettacolo, venire verso di noi, rivedo ancora il suo viso sorridente, i suoi occhi azzurri luminosi come quelli di un bambino e la sua voce esclamare con grande entusiasmo: “Siete stati tutti bravissimi!”. Poi abbracciò me e Carla e pronunciò con serietà queste parole: “Voi dovete raccontare quello che fate. È troppo importante. Vi aiuterò”.
Fu per noi una gioia grande, una grande emozione!
E insieme a lui cominciammo a riflettere sul valore pedagogico del teatro, del gioco, di quanto giocare con il teatro fosse importante per liberare l’immaginazione, la fantasia, per far sperimentare ai bambini l’errore come forma di apprendimento naturale e riconoscerlo nella sua valenza educativa.
Fare questa riflessione con il suo aiuto fu veramente importante. Le sue osservazioni, le sue domande, ci stimolavano ad andare in profondità, a capire ciò che avevamo realizzato e a riconoscere l’importanza del linguaggio teatrale. Con la sua semplicità, il suo entusiasmo e soprattutto con la sua esperienza, ci aiutò a comprendere l’importanza di documentare ciò che facevamo attraverso il diario di bordo, in modo da raccontare meglio l’attività teatrale.
E così la nostra esperienza di fare teatro diventò sempre più importante.
Concludo con una citazione di Bertrando di Chartres che vorrei dedicare a Mario e a tutti noi:
“Noi siamo come nani sulle spalle dei giganti, possiamo vedere lontano non per l’acutezza della nostra vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché sediamo sulle spalle dei giganti”.
Noi tutti che l’abbiamo conosciuto abbiamo la grande fortuna ma anche la grande responsabilità di stare sulle spalle di un grande gigante come Mario.
E in questo momento storico aggravato dalla pandemia, in cui l’indifferenza, l’egoismo, il consumismo dilagano e aumentano le disuguaglianze, persone come lui diventano importanti punti di riferimento.