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Tommaso Cardano

direttore didattico


Ho incontrato la prima volta Mario Lodi sulle scale dell’Università di Bari nel 1970. Non fisicamente ma in senso culturale.

Nel cortile della scuola di Vho.

Ero giovane matricola della facoltà di Magistero. Avevo già fatto qualche esame e mi capitò di farne uno con il professor Peppino Russillo. Sapendo che stavo preparandomi per il concorso magistrale mi chiese se fossi a conoscenza del libro Lettera a una professoressa di Don Lorenzo Milani o se avessi avuto modo di incontrare Mario Lodi, maestro elementare d’avanguardia collegato con il Movimento di Cooperazione Educativa.

Cercai notizie parlando con la mia collega Pina Boccasile e suo marito Saverio Monno, animatore culturale del Centro Servizi Culturali di Altamura. Mi fecero capire che stava crescendo il MCE, movimento culturale d’avanguardia nelle scuole italiane, quasi una “costola” del movimento culturale-politico del ’68.

Ero politicamente un “sessantottino” anch’io. Mi affascinava la cultura antiautoritaria. Mi capitava, sfogliando “Paese Sera”, di leggere i trafiletti quotidiani di Benelux e di apprezzare la creatività e la fantasia dei modi con cui si parlava delle cose importanti con parole che si possono usare con i bambini per farsi capire. Tempo dopo scoprii che Benelux era Gianni Rodari, quando fece dei riferimenti al modo di insegnare nelle scuole come già facevano in alcuni paesi del Nord Italia. Cominciò a crearsi nella mia mente un mosaico che riuniva Rodari, Don Milani e Mario Lodi di cui si parlava all’Università come un grande fenomeno di scuola antiautoritaria. Lodi aveva appena pubblicato Il paese sbagliatodiario della sua esperienza didattica di un quinquennio dal 1963 al 1969. Ero ancora studente di scuola media quando Mario Lodi già scriveva libri della sua esperienza di lavoro!

Cartellone sulla parete dell’aula della III.

Nel 1971 vinsi il concorso magistrale ed ebbi il mio primo incarico come maestro elementare. Frequentando il C.S.C, fucina culturale degli anni ’70 ad Altamura, fui iscritto da Saverio Monno al seminario di formazione che si tenne nell’agosto del ’71 a Molfetta. In questo corso incontrai alcune maestre torinesi del MCE: Daria Ridolfi, Ortensia Mele. Il corso, diretto da Pina Boccasile, fu una illuminazione per me: cominciai a sentir parlare di Mario Lodi a piena voce, a vedere le copie dei favolosi suoi giornalini, sentii parlare delle tecniche di Freinet. Erano imprinting professionali per me! Stavo virtualmente incontrando per la seconda volta Mario Lodi, quello che già sentivo come mio maestro professionale. Ho raccolto notizie su di lui, ho conservato i numeri di telefono, le fotocopie (allora rare e preziose), i fascicoletti MCE per la preparazione delle lezioni.

Diventato maestro conobbi per la terza volta, questa volta personalmente, Mario Lodi nell’estate 1972 in un seminario di formazione organizzato dal MCE in Puglia. Incredibilmente ebbi la sensazione di rivedere il mio maestro della scuola elementare Mario Abrusci: carattere paterno, voce dolce e suadente, mano calda e tranquillizzante. Gli chiesi con soggezione il permesso di fargli una fotografia. L’ansia e l’imbarazzo si sciolsero in pochi minuti quando lui cominciò a chiedermi di parlare di me, a farmi complimenti per il successo di essere diventato maestro a 22 anni.

Mi chiedeva come avevo lavorato il primo anno da maestro, dei ragazzi e mi fece descrivere il carattere dei più “difficili”. Grande ascoltatore e facilitatore nelle relazioni. Una giornata del seminario e già sentivo di avere un porto sicuro in cui approdare nei momenti in cui ai maestri sembra di essere diventati analfabeti e incapaci di fronte alle difficoltà degli alunni. La modestia del suo carattere e la profondità di affetto verso i bambini mi sbalordirono. Nei suoi discorsi proferiti sempre con dolcezza e tono suadente squillavano solo le parole bambini, collaborazione, fantasia, regole democratiche. Ebbi l’ardire di chiedergli il consenso a potergli scrivere per avere consigli e ragguagli. “Ma certamente Tommaso. Puoi farlo. Usa poco il telefono. Amo la scrittura”. Degli interventi dei tanti corsisti maestri di Puglia ascoltava l’essenza conoscitiva e modulava le sue comunicazioni. Lodi “raccontava”, non relazionava, la storia del Movimento Cooperazione Educativa. Lui, studente nell’era fascista, non tollerava il ruolo del maestro impositore del “Credo e dei pensieri dello Stato impositore”. Si mortificava a spegnere la vitalità dei bambini. Nasceva così, con l’introduzione critica nella scuola italiana delle tecniche Freinet, un’impostazione pedagogica nuova e alternativa alla scuola trasmissiva di nozioni.

Come promessomi dal maestro Mario, ricevetti il giornalino che lui aveva realizzato l’anno precedente, col nome di “Insieme”. Evviva: avevo la guida vera di quello che bisognava fare. Abusando della sua cordialità e signorilità gli scrissi chiedendogli il consenso ad emulare il suo giornalino. Lo modificai nel titolo “Noi e gli altri, insieme”. Ero in quinta classe a ottobre 1973 e potevo lanciarmi. L’avventura iniziò: fondata la cooperativa tra gli alunni (non tutti aderivano) iniziò l’organizzazione. Componemmo i gruppi dei disegnatori, dei venditori, degli stampatori. Tutti potevano essere redattori. Tutti dovevano essere scrittori, anche quelli che non riuscivano a farlo perché fortemente ritardati. Periodicamente inviavo a Mario Lodi pacchi di fogli ciclostilati. Il maestro Mario mi scriveva lettere brevi e belle nella grafia (alcune le conservo come “doni”) allegando sempre francobolli per la spedizione del pacco successivo. Qualche ragguaglio me lo suggeriva. Avevo il mio “maestro tutor” a distanza! Produssi un giornalino quotidiano di 100 numeri. Era in scadenza la mia proroga per andare al Servizio militare e dovetti rinunciare a un invito che Lodi mi aveva rivolto per raggiungerlo a fine anno.

La scuola di Vho di Piadena.

Promisi di raggiungerlo appena possibile. Tanto fu possibile a febbraio 1976, durante una licenza dal servizio militare. Dopo un giorno e mezzo di viaggio, da Altamura raggiunsi Vho di Piadena. Alla stazione ferroviaria, dal finestrino riconobbi Mario Lodi con la sua immancabile coppola e la mano alla figlia Rossella in attesa del mio treno. Immagine poetica: mi sentii di essere il soldatino atteso dal padre alla stazione durante la licenza. Questa è stata sempre la figurazione che ho percepito di Mario. Eppure lui era il grande maestro amico di tanti grandi personaggi, scrittore di decine di libri, ex assessore comunale, ribelle incarcerato dai fascisti per renitenza alla leva e aderente al Fronte della Gioventù. Ma era Mario, il mio secondo Mario, maestro professionale. La sensazione era quella di esserci lasciati qualche giorno prima e di rivederci per andare a casa. A passi lenti raggiungemmo casa sua in via Matteotti verso il tardo pomeriggio. Stanco e stranito da tanta commozione, dimenticai di andare a prenotare una camera in albergo. Cenammo tutti insieme come se io fossi il figlio maschio maggiore tornato da un lungo viaggio, iniziammo a parlare: lui chiedeva solamente cose semplici, per sapere se mi sentivo bene, se avevo bisogno di qualcosa. Quando sobbalzai dalla sedia ricordandomi di andare in albergo, lui con calma serafica e padronanza di emozioni, chiese alla moglie di preparare il letto degli ospiti. Imbarazzo al massimo: dovevo dormire a casa sua! Veramente mi sono sentito suo figlio in tutti i sensi.

Ricordo di essermi svegliato di soprassalto il mattino successivo verso le 10. Agitato chiedo alla moglie notizie del maestro. “È a scuola! Mi ha detto di raggiungerlo lì”. Vho era un paese facile da vivere e riuscii a raggiungere la scuola: un grade parco urbano con un palazzo enorme, credo che ospitasse più abitazioni. Entrato da un portone riuscii a individuare l’aula della classe del maestro Lodi. Busso e viene ad aprirmi una bella bambina sorridente e accogliente. Ebbi la sensazione di averla sognata, ma era Rossella la secondogenita che frequentava la terza classe. Una “casa didattica” e non una “classe scolastica”. “Buongiorno Tommaso, accomodati!”. Presi posto su una sediolina dato che Mario non usava la cattedra. Aspettai che finisse il suo interloquire coi bambini e poi fui introdotto nella loro conversazione. Nessun bambino gridava e, tutti dal loro posto, cominciano a chiedermi di parlare: anche lì ero uno in famiglia. Raccontai chi ero, da dove venivo, perché ero lì. Mario, amatore dei dialetti, mi chiese di cantare un canto dialettale del mio paese e poi provare a scriverlo. Riuscii a cantare un paio di strofe del canto popolare Il trainiere e poi mi resi conto di non saper scrivere il mio dialetto sulla lavagna. Imbarazzato spiegai ai bambini che non sapevo cantare e che raramente avevo scritto il dialetto, che sapevo parlare benissimo, anzi era la mia prima lingua. Con la mente colma di visioni e il cuore denso di emozioni grandi e “privilegiate” accompagnai il maestro Lodi a casa sua per riprendere la borsa di viaggio e ritornare alla stazione per agganciare le varie coincidenze ferroviarie e ritornare il giorno dopo ad Altamura.

Tornai a scuola il lunedì successivo dopo 13 mesi di assenza per il servizio militare e scoprii che mi avevano assegnato una terza elementare retta da una maestra supplente da ottobre a febbraio. Anche con questi alunni produssi solamente alcuni giornalini monografici, quasi libelli, che riuscii a mandare a Mario per documentazione. L’anno successivo iniziai a preparare il concorso per diventare direttore didattico nel 1979.

Caro Mario, grazie di avermi insegnato a diventare maestro.

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