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Chiara Monchieri

insegnante


“Il maestro che fa scuola insieme”. Così Enzo Biagi, nel suo libro Il Buon paese (1981), che raccoglie interviste a varie personalità della cultura, dell’economia, della politica, intitola il lungo capitolo dedicato a Mario Lodi.
Fare scuola insieme. Insieme è la parola chiave che caratterizza lo straordinario lavoro di questo mite e instancabile educatore. Mario Lodi non ha mai smesso di ascoltare i bambini: fin dai suoi primi anni di insegnamento ha sempre saputo coltivare la curiosità e la creatività dei ragazzi.

Non si è mai stancato di rispondere con pazienza e dedizione a tutte le domande, con una premura e un’attenzione continue. L’ascolto, il dialogo, la voglia di “imparare insieme” sono diventati gli elementi fondamentali del suo lavoro. Ogni allievo è parte di una comunità operosa, perché Mario Lodi trasmette fiducia, gioia di lavorare, di provare con le proprie forze.

Dalle domande dei bambini nasce la sua scuola.

Una scuola-laboratorio ricca di attività: manuali, intellettuali, ricca di iniziative e di esperienze, di mostre, di giornali e quaderni ciclostilati, di incontri, di uscite, di teatro. Una scuola tanto più formativa, quanto più rispettosa dei tempi di crescita di ciascuno, senza competizioni, individuali, aperta a tutti.

Un’esperienza che da Piadena, suo paese natale, Lodi ha saputo comunicare e diffondere attraverso l’MCE, il Movimento di Cooperazione Educativa a cui hanno aderito tanti bravi insegnanti. Un’esperienza di lavoro che Lodi ha raccontato in tanti libri. In uno di questi, La scuola e i diritti del bambino (Einaudi, 1983), possiamo leggere:

“Io credo che la scuola, insieme ai genitori e alle persone che vogliono la pace, può influire sui bambini per superare l’atteggiamento aggressivo e creare la nuova mentalità, la nuova intelligenza. Deve essere una scuola adeguata al compito, capace di accogliere tutti i bambini come diversi, con le loro particolari attitudini e le loro esperienze. Una scuola fondata sulla diversità come valore: credo che la prima pietra del nuovo edificio sia proprio questo principio, perché se ognuno accetta la diversità degli altri come fatto normale, si rende subito disponibile all’ascolto, che vuol dire rispetto, tolleranza, disponibilità”.

 Ho avuto la fortuna di conoscere Mario Lodi, di studiare i suoi scritti, di ascoltare i suoi interventi, di incontrarlo in alcune sue visite a Brescia. Ma il ricordo a cui sono più legata si riferisce alla primavera del 1983 e precisamente alla sua visita preso la scuola media statale “A. Venturelli” di Gussago dove allora insegnavo lettere. Avevo fatto leggere, nella classe II B, il suo romanzo Il Corvo. Una delicatissima storia autobiografica che racconta del tormento della guerra, dell’arresto del giovane protagonista, della deportazione nelle prigioni italiane delle S.S. Una storia di guerra, ma filtrata da sentimenti senza odio, scritta con toni pacati e sfumati, permeata da un desiderio di pace, di sincerità, di rispetto reciproco non comune.

I miei ragazzi avevano colto pienamente il messaggio di Lodi: quello di far leva sulla responsabilità individuale. Durante la lettura dell’opera ci siamo soffermati sui vari capitoli, abbiamo fatto osservazioni, scritto appunti e abbiamo inviato a Mario Lodi varie lettere. Ne è nata una corrispondenza intensa, fitta, proficua. L’autore rispondeva chiamando per nome ogni allievo, ogni allieva, dava spiegazioni e suggerimenti con pazienza.

Queste lettere sono scritte a mano, pagine fitte con una calligrafia ordinata, elegante, quasi un ricamo su una trama sottile e forte. Non potevamo non invitarlo a scuola, a Gussago. Appena ricevuta la nostra richiesta subito ha accettato!

È arrivato, un bel giorno, di fine aprile, ci ha detto a piedi da Urago Mella dove aveva parenti. Le due ore a disposizione sono volate. Si è fermato tutta la giornata.

I ragazzi avevano dei doni per lui: torte, frutta, ricordo un cesto robusto di vimini fatto personalmente dal padre contadino di un mio alunno. È stato un incontro indimenticabile. Mario Lodi parlava calmo, in modo semplice, diretto. Rispondeva a tutti, senza dimenticare anche le domande più banali. Ha raccontato la sua infanzia, ha arricchito di particolari tanti episodi autobiografici che avevamo letto nel libro.

Avevamo prenotato il pranzo in una trattoria vicina. Ci siamo andati tutti insieme al nostro amato preside Luciano Spiazzi. Quando Mario Lodi ha saputo del compleanno di un allievo gli ha fatto festa, abbiamo scattato fotografie, cantato, sembravamo un’unica grande famiglia! Ora che non c’è più, riprendendo, dopo tanti anni, tra le mani i suoi libri, rileggendo le lettere indirizzate alla mia classe, guardando il disegno di un palloncino fatto da lui su una busta che vola fino al francobollo comprendo ancora di più il valore del suo lavoro.

Di quell’incontro resta un bel fascicolo azzurro turchese che forse qualche mio ex alunno conserva tra le cose della scuola. E mi viene in mente una frase di una lunga (la prima) lettera di Lodi, scritta durante le vacanze di Natale da Aymavilles, in Val d’Aosta, dove rivolgendosi ad un mio alunno dice: “A Davide pare straordinario ‘scrivere a uno scrittore’ allora gli dirò che ogni persona libera che pensa, riflette su quello che accade e fa esperienza è come un libro. Spesso i libri viventi sono chiusi, sigillati, e si aprono solo quando si compie il miracolo della confidenza, dell’amicizia o dell’amore…”.

Ecco, ora che si è compiuta sulla terra la vita di questo, per me, grande maestro, l’immagine più bella per definirlo la si può ricavare proprio dalle sue parole: Mario Lodi è stato il miracolo di un libro sempre aperto sul mondo. Con gratitudine.

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