Luigi Briselli
fotografo
Ero un giovane autodidatta con una passione bruciante per la fotografia alla quale dedicavo ogni momento del mio tempo libero. Da diversi anni sperimentavo, leggevo, osservavo le immagini dei grandi fotografi per immedesimarmi e capire i loro scatti, per imparare, per trovare la mia via. Sentivo che quell’obiettivo mi offriva la possibilità di esprimermi, diventava di giorno in giorno un’appendice irrinunciabile del mio corpo che mi consentiva di vedere e di rappresentare il mondo attraverso me stesso, con un linguaggio che le parole non avrebbero potuto sostituire. Nel fuoco dell’obiettivo erano racchiuse le curiosità e le emozioni rispecchiate dai paesaggi, dai volti, dalle cose che incontravo. Bellezza, poesia, malinconia, tristezza, nostalgia, stupori e memorie che persone, gesti, oggetti scolpiti dalla luce o seminascosti dall’ombra ogni giorno mi regalavano. E un bisogno irrefrenabile di fermare quegli attimi, di condividerli, di conservarli per me e per coloro che avrebbero guardato e capito. Paesaggi padani immobili e struggenti, volti segnati dal tempo e dalla fatica, il susseguirsi delle stagioni, la sapienza delle mani e dei gesti antichi di lavori che stavano scomparendo.
Cercavo qualcuno che capisse, che ascoltasse, che mi regalasse l’opportunità di un confronto. E ho trovato Mario Lodi. Era il 1980, l’anno della mia prima pubblicazione.
Desideravo dare alle stampe un libro fotografico sui vecchi mestieri della Valle Padana. Avevo chiesto a diversi autori di scrivere il testo che avrebbe contestualizzato il mio racconto per immagini ma, per motivi diversi, avevano declinato l’invito. Fu il grande fotoreporter Angelo Cozzi, che avevo conosciuto da poco ma che apprezzava il mio lavoro, a suggerirmi di contattare Mario Lodi. Come non ricordare l’emozione e la speranza riposti in quel primo incontro, in quello spiraglio che inaspettatamente si apriva dopo le molte porte che avevo trovato chiuse. E il coraggio e la fiducia che quel colloquio riuscì a infondermi.
Mario mi ascoltò, guardò le mie foto, si stupì e si appassionò al lavoro di documentazione degli ultimi gesti di un mondo rurale che il mio obiettivo coglieva e fissava mentre andava velocemente scomparendo. Il mondo contadino rappresentava da tempo uno dei suoi grandi interessi. Non esitò a offrirmi la sua disponibilità. Insieme a quel mio primo libro, nasceva un’amicizia che sarebbe durata tutta la vita.
Insieme realizzammo altri progetti: la mostra I lavori della Padania con Egidio Del Canto, allestita alla Casa del Mantegna a Mantova nel 1993 e l’omonimo volume pubblicato dall’Editrice Turris. Una mostra divenuta notissima in tutto il territorio quando l’Amministrazione provinciale decise di divulgarla prestandola alle biblioteche di molti comuni mantovani e cremonesi. Fu molto richiesta, grazie non solo alle immagini, ma anche alla notorietà di Mario che dal 1985 al 1993 aveva collaborato con “Mondo Padano” e pubblicato i suoi contributi su A&B.
L’anno successivo, nel 1994, pubblicai con Antonio Leoni il libro Sguardi. Ritratti in terra padana nel quale avevo raccolto intensi ritratti di personaggi famosi che avevo avuto modo di incontrare e fra i quali non mancai di inserire Mario Lodi, fotografato nello studio con i suoi amati strumenti musicali. Mario si lasciava fotografare volentieri, con semplicità, nel suo contesto di vita, dalla casa di famiglia alla Casa delle Arti e del Gioco, realizzata con i proventi del Premio internazionale Lego assegnatogli nel 1989.
Mario amava moltissimo la fotografia. Gli piaceva camminare per la campagna e fotografare quello che incontrava, nella sua realtà naturale, senza selezioni estetizzanti. Amava la campagna, la vita di cascina e vi portava molto spesso i suoi alunni per indimenticabili lezioni esperienziali all’aperto. Ricordo che aveva un vecchio filmato sulla cattura delle talpe che gli avevo fatto restaurare. Aveva idee e orizzonti che il lavoro non gli permetteva di seguire come avrebbe desiderato e alle quali ha dato forma solo in tarda età, quando il tempo glielo ha permesso. Era affascinato dagli alberi. Li fotografava in qualsiasi modo e condizione. Un giorno vidi presso di lui i disegni dei bambini con poesie e racconti dedicati agli alberi. Ne fui colpito per la magia e la freschezza che esprimevano. Decidemmo così di pubblicare un volume di alberi e di poesie: disegni, fotografie e testi poetici. Lo componemmo in tre parti: lo sguardo poetico e affascinato dei bambini commentato da Mario Lodi; le fotografie degli alberi protagonisti del nostro paesaggio commentate da Edo Ronchi e accostate ai versi di grandi poeti; gli alberi monumentali fotografati fra nord e centro Italia, corredati dalle descrizioni e dalle riflessioni di Riccardo Groppali. Fu pubblicato da Persico nel 1998.
Andavo spesso a trovare Mario Lodi. Chiacchieravamo a lungo, esprimevamo i nostri sogni, le nostre visioni utopiche del mondo, della società, della scuola, del futuro… nella certezza che non si sarebbero mai avverate. Erano conversazioni emozionanti. Il suo linguaggio era così semplice e così profondo da apparire disarmante. Il suo dialogare era sempre pieno di entusiasmo che si traduceva in una affascinante forma di insegnamento. E io ascoltavo e memorizzavo, come un bambino felice di apprendere. Fra noi si era stabilito nel tempo un rapporto profondo e confidenziale. Ero molto emotivo, ma la sua sensibilità era in grado di comprendere anche quello che non dicevo. Sentivo la sua stima. Parlando con lui mi sentivo sempre valorizzato e capito. Apprezzava la mia semplicità e la mia trasparenza e mi sollecitava a volare alto, a perseguire grandi ideali senza lasciarmi condizionare dalle piccinerie della quotidianità. Io ricambiavo con una autentica venerazione. Amavo quello che mi trasmetteva, la sua passione di insegnante, la fede incrollabile nel valore e nella missione della scuola e dell’educazione. Mario non apprezzava gli insegnanti che non si impegnavano a fondo nel proprio lavoro, che non portavano ardore: a lui piacevano le persone semplici, ma che dentro avevano passione, entusiasmo, amore.
In un modo diverso, amicale e adulto, sono stato anch’io un allievo di Mario Lodi, un “ragazzo del Vho”.