img-header-sezione-Mario-lodi-radioBN

Sandro Lagomarsini

prete educatore, comunità di Cassego


Fin dal suo inizio, nel 1968, al nostro Doposcuola si leggeva “Il Giorno”. Io già conoscevo il quotidiano di Milano, perché il lancio pubblicitario aveva raggiunto anche mio padre, cameriere sulle petroliere dell’Agip.

Sapevo, in più, che don Milani ne incoraggiava la lettura, perché nella sua nascita era entrato Enrico Mattei, colui che aveva umiliato le “sette sorelle” del petrolio, firmando contratti più equi con i Paesi produttori.

Su “Il Giorno” Mario Zoppelli aveva scritto alcuni articoli sul mio lavoro scolastico e un’altra giornalista, Natalia Aspesi, aveva collaborato alla realizzazione di un documentario RAI (mai trasmesso) sulla vita nella nostra montagna. Ne era nata anche una gita a Milano, nella quale la Aspesi ci guidò in una istruttiva visita notturna alla redazione del giornale.

Così lessi subito la recensione che Giorgio Bocca aveva scritto sul libro di Mario Lodi Il paese sbagliato. Il “lancio” di Bocca, che aveva individuato in questo “diario di scuola” una forte carica di novità e una spinta alla crescita del nostro Paese, fu molto efficace.

Mario ha sempre sostenuto che la prima lettera di approvazione entusiasta per il suo libro e il suo lavoro è stata la mia. È certo che andai a una presentazione del libro fatta a Viareggio. Così nacque la nostra amicizia e la nostra collaborazione.

Ho ricordato, in un breve video intitolato Storia di Sergio (il cui testo è riprodotto nella nuova edizione di Ultimo banco), l’incontro tra Mario e questo ragazzo dall’intelligenza viva e dai modi selvatici. Io lo avevo già faticosamente recuperato all’attività scolastica guidandolo alla scoperta della storia e della cultura di montagna, di cui Sergio era imbevuto. Alcuni giorni di vendemmia in Borgogna e una spossante visita a Parigi avevano convinto Sergio che esistevano altri mondi oltre il suo.

Ma il suo pensiero fisso erano i campi e l’agricoltura. Con la gita a Piadena, assieme a tutti i ragazzi del Doposcuola, volevo mostrare a Sergio la vita contadina di pianura. Mario si offrì di fargli da guida. Vedo ancora Sergio, ormai abituato a parlare con estranei, seduto nel salotto di via Matteotti. Esponendo la sua vistosa dentatura, parlava con entusiasmo della sua realtà di famiglia e dei suoi sogni, mentre Mario gli offriva la sua attenzione calma, partecipe e incoraggiante. Ho scritto altrove: “In pochi minuti Mario lo conquistò”. Ma il fatto che io mi sentissi al sicuro nell’affidare a Mario quel ragazzo così particolare, significa che riconoscevo in lui l’autentico educatore che il suo libro mi aveva rivelato.

Rividi Sergio alla fine della giornata, alla conclusione della sua visita a campi, stalle, caseifici. Era raggiante. Quella esperienza fu una delle basi sulle quali crebbe l’anno scolastico che avrebbe portato Sergio a sostenere l’esame di terza media e poi alla grande gita in Olanda del settembre 1971.

L’avevamo programmata proprio per far conoscere a Sergio i “vertici” dell’agricoltura europea e sarebbe stato quello l’ultimo strumento disponibile per la sua formazione. Grande anche la fatica per ottenere da suo padre il permesso di espatrio.

Dalla gita nacque un giornalino scolastico di poche pagine, illustrate da stampi di linoleum. Sergio era tornato ad aiutare la famiglia e non partecipò alla stesura dei testi. Mostrai il giornalino a Mario e lui mi gelò con questa frase: “Ora ci vorrebbe un bel racconto del vostro viaggio”. In realtà “il racconto” era quello. Era filtrato e spremuto dalla memoria di ragazzi che avevano limiti linguistici molto superiori a quelli di Sergio, i cui testi sulla vita contadina, di grande vivacità e precisione, avrebbero trovato posto su Monti d’Italia (1974). Poi però ho pensato che, anche in quel caso, Mario avrebbe saputo ottenere migliori risultati.

Ho invitato Mario, più di una volta, a parlare a genitori e insegnanti elementari. Nessuno di loro ha dimenticato la sua principale affermazione: “A sei anni un bambino ha già dentro di sé un mondo di conoscenze e di esperienze da cui la scuola può partire”.

So che non dappertutto gli incontri con gli insegnanti sono stati felici. In un incontro a Sarzana, a quanto riferitomi, le contestazioni a Mario furono molto dure. Erano i primi anni ’80, quando anche la sinistra si stava convertendo al “produttivismo”. Mario si lasciò zittire. Era, credo, la sua impostazione non violenta che si rifiutava di proseguire quando veniva meno il dialogo.

Forse fu tradito dalla sua impostazione dialogica anche quando ripose una certa fiducia in quella “commissione dei 60” che stese i programmi elementari del 1985 (uscirono l’anno dopo, rivisti nella forma perché molte parti risultavano incomprensibili). Mario ottenne di esprimere le mie perplessità su “Riforma della Scuola”, ma la discussione non proseguì. Anche Mario restò infine deluso dalla applicazione dei programmi.

Devo ricordare una delle più importanti imprese in cui Mario mi coinvolse, la “Biblioteca di lavoro”. Fu una impresa generosa, che doveva stimolare le scuole elementari e medie a “produrre” i loro testi, sull’esempio di quelli proposti dalla Biblioteca. L’impresa a un certo punto si fermò, ma ricordo ancora le riunioni collettive di lavoro, che misero a punto il nostro contributo, quel Progetto di Museo Contadino che ancora oggi usiamo come guida all’Esposizione per il Museo Contadino di Càssego.

Quando ho chiesto a Mario Lodi una prefazione per il mio Ultimo banco, mi ha domandato: “Perché lo chiedi a me?”.  “Perché dicono che la mia idea di scuola è vecchia e forse anche la tua; – gli ho risposto – vediamo l’effetto che fanno insieme”.

Sarà proprio vecchia la scuola di Mario Lodi? Me lo domando davanti a libri come Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, in cui Paola Mastrocola e Luca Ricolfi denunciano guasti e inadempienze della formazione scolastica. Può darsi che abbiano ragione, quando si riferiscono a Superiori e Università. Può anche darsi che, a quei livelli, funzioni meglio una scuola dove gli studenti vivano “in un clima di allerta permanente”, come sintetizza il recensore di “Repubblica”. Ma che c’entra don Milani che, come è noto a chi sa leggere, di Superiori e Università non si è mai occupato?

Forse i due severi critici dovrebbero prendere in considerazione la lettera che una madre (49 anni, anonima) ha scritto a “Famiglia Cristiana” denunciando le “torture” che la scuola di oggi infligge a bambini e ragazzi (F.C., n.42. 2021).  Un assaggio: “La scuola elementare di mio figlio era dotata di un bellissimo giardino, abbastanza grande: in 5 anni è stato utilizzato solo un paio di volte”. Molto triste: “Ci sono insegnanti che si rivolgono male agli alunni, che non sorridono mai, che urlano, che non si accorgono del malessere dei propri ragazzi, che sono il loro ‘terrore’”.  Sconfortante: “(I ragazzi) sono spesso trattati come tanti soldatini, tutti uguali, pronti a eseguire ordini”.   Ed ecco il finale: “Quando mio figlio esce da scuola, io non gli chiedo che voto ha avuto, ma se si è sentito felice e se ha imparato qualcosa durante la giornata”. Io prenderei sul serio questo sfogo. Con due aggiunte.

Anzitutto, agli insegnanti di cui parla quella madre – evidentemente non informati – si dovrebbe dire che strade diverse e più produttive sono già state percorse. Per ritrovarle propongo due indizi. Un ragazzo di 11 anni arriva in una strana scuola. L’anno dopo insegna ai più piccoli. Così ne scriverà qualche anno più tardi: “Se sbagliavo qualcosa poco male. Era un sollievo per i ragazzi. Si cercava insieme. Le ore passavano serene senza paura e senza soggezione” (Lettera a una professoressa, p. 14).  Un maestro, al 31 di marzo, porta i suoi alunni a incontrare la primavera e condivide con loro la gioia delle scoperte: “Siamo usciti in campagna, allegri, il taccuino in tasca, per annotare, magari in poesia, il nuovo che rinasce un’altra volta” (Il paese sbagliato, p. 429).

E poi una domanda ai critici che fanno di ogni erba un fascio: se due generazioni di studenti (o anche quattro) sono appiattite verso il basso e senza basi, la colpa è dei Lodi e dei Milani o del fatto che i loro insegnamenti sono stati del tutto ignorati?

Pubblicato il: