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Luca Comerio

maestro e assegnista in Storia della pedagogia, Università Bicocca Milano


Con Mario Lodi, alla Casa delle Arti e del Gioco.

Il mio primo incontro con Mario Lodi fu attraverso i suoi libri, negli anni Novanta. Giovane studente di Giurisprudenza ed entusiasta volontario in un doposcuola parrocchiale, un’estate mi ero portato in vacanza C’è speranza se questo accade al Vho, scoperto un po’ per caso nella biblioteca della mia città. Era il primo libro di argomento pedagogico che leggevo e fu per me un’autentica scoperta: mi innamorai subito dello stile garbato e poetico del suo autore, dal quale traspariva un animo nobile e una grande capacità di leggere nel cuore e nella mente dei bambini, cogliendovi interessi, curiosità ed emozioni. Iniziai così a diventare un appassionato lettore di altri lavori del Maestro: Il paese sbagliato, Cominciare dal bambino, La scuola e i diritti del bambino, Insieme…, testi che mi accompagnarono nell’affascinante mondo dell’educazione, spingendomi a conoscere via via altri autori ed esperienze.

Mario Lodi restò però il mio principale punto di riferimento: attraverso i suoi libri imparai ad accostarmi al bambino con umiltà e passione, riconoscendolo come portatore di un proprio bagaglio di conoscenze e di una storia meritevole di essere accolta, valorizzata e amata. Ed è proprio a partire dai lavori del Maestro – in particolare dai già citati C’è speranza se questo accade al Vho e Il paese sbagliato – che è nato in me il desiderio di diventare maestro a mia volta.

Nel settembre di alcuni anni dopo, in occasione del trentesimo anniversario del mio primo giorno di scuola, decisi di inviargli una mail: da tempo volevo infatti conoscerlo e gli chiesi se fosse disponibile per un incontro anche solo di pochi minuti; inutile descrivere il mio stupore e la mia gioia quando, il giorno dopo, mi arrivò pronta la sua risposta. La mia mail aveva avuto quale cauto oggetto “un saluto”, il Maestro mi rispondeva invece con un accogliente messaggio dal titolo “incontro”: mi proponeva di telefonargli, in modo da organizzare la mia visita. Come in un sogno, lo chiamai: “Va bene, troviamo un giorno, così vieni qui a casa mia” mi disse, con una grande disponibilità e una dolcezza che mi conquistò subito. Concordammo l’appuntamento per qualche giorno dopo; mi domandò come intendevo raggiungere Piadena: non conoscendo quelle zone, risposi che pensavo di utilizzare il treno; il Maestro mi spiegò quindi quale autobus prendere dalla stazione per arrivare alla Casa delle Arti e del Gioco, ma aggiunse che magari sarebbe passato a prendermi in auto, visto che la mattina era sua abitudine uscire.

La mattina del due ottobre, una bella giornata di sole autunnale, mentre il mio treno entrava nella piccola stazione di Piadena, vidi con stupore la figura alta e sottile di Mario Lodi, con il maglione blu e le braccia dietro la schiena, che mi aspettava sulla banchina. Scesi dal treno, percorsi il marciapiede quasi deserto e mi infilai nel sottopassaggio; con emozione salii lungo la scala: in cima ad aspettarmi c’era lui, l’autore dei libri che mi avevano tanto appassionato; mi salutò con affetto e una calorosa stretta di mano. È un ricordo che conservo ancor oggi con tenerezza, nel quale si combinano da un lato l’immagine di quel mio “salire” per accostarmi alla questa figura così preziosa per la riflessione pedagogica e per la mia formazione, dall’altro la sensazione di un maestro che mi accoglie, quasi come un padre o un nonno. “Ecco cosa significa essere maestri – mi dissi – vuol dire far sentire all’altro di essere in qualche modo atteso e importante”.

A bordo della sua Polo verde scuro attraversammo le campagne della zona, illuminate da una luce dorata, luoghi che tante volte avevo sognato leggendo i suoi libri. Arrivati alla Casa delle Arti e del Gioco, restai in sua compagnia per buona parte della mattinata: mi mostrò la pinacoteca nella quale sono custoditi i dipinti che aveva realizzato con i propri alunni, soffermandosi a raccontarmi la storia di ciascuno di quei lavori variopinti e dei loro giovani autori. Poi restammo a parlare a lungo, volle sapere di me e, come in una straordinaria lezione privata, mi parlò del suo lavoro a scuola e dell’idea dei giornalini, ispirata al lavoro di Freinet.

Assaggiammo i cioccolatini che gli avevo portato: per scegliere il piccolo dono avevo frugato tra la letteratura del Maestro e così, prendendo spunto dal capitolo “Incontro sull’ES” di A TV spenta, avevo scelto dei cioccolatini fondenti: in quello splendido passo Mario Lodi racconta di una poetica conversazione con un’anziana coppia incontrata in un viaggio sull’Eurostar e, nel corso dello scambio, gli interlocutori gli offrono proprio dei cioccolatini che dice di gradire molto.

Fra i molti tratti del maestro che mi colpirono e dei quali conservo il ricordo, vi è la grande passione per la vita che traspariva dalle sue parole; mi raccontò dei suoi numerosi interessi e dell’amore per il ciclismo: quando era studente, mi disse, faceva lunghe pedalate per andare a studiare sul lago, all’ombra di un albero. “Avrei voluto vivere sette vite!” mi disse.

Fu una giornata per me straordinaria, alla quale negli anni ne seguirono altre, quando andai alla Casa delle Arti e del Gioco come allievo di seminari e laboratori, incontrando nuovamente il Maestro; ma quella mattina di ottobre rimane ammantata di una calda e speciale magia.

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