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Roberto Papetti

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Nella primavera del 1998, vengono in visita al centro Gioco, Natura, Creatività “La lucertola” del Comune di Ravenna, il maestro Mario Lodi, Hélène Stavro di Editoriale Scienza e Gioacchino Maviglia del Movimento di Cooperazione Educativa. Il centro in quegli anni conteneva al suo interno il laboratorio di microscopia, il teatro delle ombre, la falegnameria, l’aula di scienze e il magazzino dei materiali, ma soprattutto il museo del giocattolo ecologico e autocostruito, grande attrazione per scuole di ogni ordine e grado.

L’occasione della visita era la richiesta di una collaborazione per una mostra itinerante di educazione scientifica, capace di coinvolgere i bambini, nel gioco e nella sperimentazione guidata, perché come ricordò in quella occasione il maestro: “Il bambino impara giocando da quando nasce, e questa mostra restituirebbe ai bambini il piacere di scoprire, giocando, concetti scientifici e abilità tecniche così da ampliare la loro cultura”.

Conoscevo di Mario Lodi solo quello che aveva scritto e ricordando le prime pagine de Il paese sbagliato, avevo bene in mente il racconto del suo primo giorno di scuola: “Uno dei bambini si alzò e andò a guardare cosa succedeva sui tetti di fronte. A poco a poco anche gli altri fecero lo stesso. E allora mi domandai: lasciar fare o reprimere? Così mi alzai, e insieme a loro mi misi a guardare il mondo dalla finestra”. Portare nella scuola l’idea di aprirsi verso l’esterno era anche mia convinzione, sostenendo l’innovazione e la sperimentazione didattica, ritenendo il mondo esterno degno di grande considerazione, fonte di ispirazione per il lavoro di insegnanti e bambini.

Il centro, al tempo della visita di Mario, era al massimo dell’espansione, i giocattoli avevano invaso ogni spazio dell’edificio di due piani e in parte il giardino esterno, rappresentava un punto di riferimento per le scuole sull’ecologia, l’educazione scientifica e il gioco, in linea con il pensiero interdisciplinare di Gregory Bateson, espresso in Ecologia della mente. Si promuovevano progetti di educazione ambientale, si allestivano ogni anno mostre ed eventi pubblici sul gioco, si incrementava il museo con nuovi oggetti.

I giocattoli erano appesi alle pareti, sospesi al soffitto, appoggiati su grandi tavoli e per ogni dove, perché i bambini in visita potessero toccarli e giocarci. Ogni giocattolo nuovo che entrava, generava metamorfosi, cambiamenti repentini di interi comparti e nuove divertenti sistemazioni.

Quel giorno al centro era presente una classe in visita e come spesso succedeva, i bambini si sono sparsi nel museo giocando con quel che trovavano interessante. I giocattoli erano esposti per comparti e “collezioni di collezioni” – bambole, trottole, birilli, aquiloni, bilboquet, gabbiette, giochi da tavoliere, bastoni a spinta, bigliodromi, caleidoscopi, rompicapo – secondo una modalità espositiva capace di suscitare curiosi giochi immaginativi.

In quel chiassoso ambaradan il maestro Mario ha esclamato: “Roberto, hai creato un museo delle idee”.  Stupito ho chiesto cosa intendesse per idea. Non ricordo la risposta precisa, disse qualcosa del tipo: “Una idea è un movimento della mente che fa nascere la ricerca e stuzzica quell’attenzione che porta alla scoperta del mondo”. Nei giocattoli dei bambini, infatti, è nascosto il segreto delle sue infinite possibilità.

Durante la riunione riflettemmo sui concetti alla base del progetto della mostra che chiamammo “La scienza in altalena”:

  • il gioco è strumento di conoscenza del bambino; dal gioco si ricavano esperienze, si fanno osservazioni, si interiorizzano idee che servono a “prepararsi” per essere in grado successivamente di acquisire abilità operative e cognitive e per formalizzare concetti scientifici. Un insegnamento delle scienze che si rifà alle esperienze facilita l’interiorizzazione dei concetti;
  • la scienza è nei fenomeni quotidiani, non solo nei problemi astratti e complessi; ogni fenomeno quotidiano può essere reso intellegibile attraverso leggi scientifiche quando queste sono spiegate in modo esperienziale;
  • ognuno dei giocattoli in esposizione è il frutto di un “cultura infantile” che si è trasmessa spontaneamente nel tempo, variando i materiali e le forme;
  • ogni giocattolo della mostra è costruito con materiali di scarto o di facile reperibilità così da poter essere riprodotto dai bambini.

Nei mesi successivi sono stati costruiti i giocattoli selezionati e varianti, preparati corredi, supporti e materiali informativi. Montata e collaudata alla casa delle Arti e del Gioco, la mostra è stata inaugurata per la prima volta a Concorezzo, la sera del 22 ottobre 1999, da Mario Lodi e Gioacchino Maviglia. La visita di tutte le classi della scuola è stata guidata da Aldo Pallotti.

Ha cominciato subito dopo a viaggiare per L’Italia, ospitata in sedi prestigiose quali la Città dei Bambini e dei Ragazzi di Genova, il Centro Immaginario Scientifico di Trieste, la Città della Scienza di Napoli, il Museo del Patrimonio Industriale di Bologna e l’Università di Milano Bicocca (Facoltà di Scienze della Formazione Primaria), Biblioteca Classense e l’Urban Center di Ravenna.

Dal 2000 al 2015 ha vissuto una intensa stagione itinerante in più di 40 sedi (scuole, biblioteche, comuni, strutture educative) tra le quali Carnate (MI), Oriago (VE), Sarnico (BG), Cavenago Brianza (MB), S. Giorgio a Cremano (NA), Modena nel 2005 e nel 2008, Valdagno (VI), Cremona, Fiorano Modenese (MO), Galliate (NO), Livorno, San Vincenzo (LI), Castagneto Carducci (LI), Cecina (LI), Malo (VI), Rozzano (MI), Fidenza (PR), Treviolo (BG), Limbiate (MI), Palazzolo sull’Oglio(BS), Alghero (SS), Albino (BG), S. Martino Spino di Mirandola, Drizzona (CR), Carpi (MO), Soave (VR), Carate Brianza (MB), Reggio Emilia, Inverigo (CO), San Lazzaro di Savena (BO).

Un anno sì e uno no, sono tornato alla Casa delle Arti e del Gioco per ricostruire i giocattoli rotti o consumati, apprezzando l’ospitalità di tutta la famiglia. Ricordo che dopo la partecipazione al festival delle Scienze di Genova, dove la mostra rimase per mesi e mesi e fu visitata da oltre 100mila bambini, tornò in sede a Drizzona completamente distrutta, cosi che ci trovammo a dover restaurare quasi tutti i pezzi.

Ho trascorso diverse giornate in compagnia di Lodi, nell’edificio nella sede della Casa delle Arti e del Gioco, tra meravigliosi dipinti dei bambini.  Mentre le mani lavoravano, mi stupiva il fatto che mi facesse delle domande, nel suo modo discreto e gentile, e mi interrogasse sulle ragioni del mio fare: “Perché fai questo e perché fai quest’altro… perché pensi che il frullino di Newton sia meno importante del girlo? C’è un giocattolo che possa far capire ai bambini come si trova un baricentro? Hai notato che al minimo movimento, proviene dall’interno di un caleidoscopio uno scalpiccio di piccole zampe in fuga?”.

Un argomento che ci appassionava era come far nascere nei bambini la passione per i lavori manuali, tagliare, assemblare, misurare, unire, modellare, comporre, lisciare, piantare chiodi, colorare, pensare, perché nessuno nasce capace, e il difficile è cominciare. Perché il costruire è un fatto anche cerimoniale e antropologico, come narrare le fiabe o cantilenare filastrocche.

Parlavamo della comune passione per i giochi di strada di un tempo, quando i bambini giocavano liberi o parzialmente controllati, la scolarizzazione minima, i compiti da fare a casa discreti e quasi inesistenti.  Discutevamo dei bambini incapaci di affezionarsi davvero ai giocattoli, che hanno spostato l’attenzione dal singolo oggetto amato, alla collezione, dalla qualità (affettiva) alla quantità. Di mercificazione che ha aggredito l’arte del gioco, di giocattoli diventati personaggi con storie e caratteri definiti. Di bambini che hanno sempre meno possibilità di smontare e riassemblare, e possono agire solo in funzione di proprietari, fruitori e non più creatori.

Mario mi raccontò del mitico camion di sabbia che il padre rovesciava nel cortile di casa del piccolo borgo dove abitava da bambino, appena finito l’anno scolastico. Il mitico monticello era la montagna incantata che faceva giocare bambini e bambine del borgo per tutta l’estate.

Storie, ricordi, a volte pensieri distratti, tutto un parlottare lento, composto, dialogante, molto coinvolgente. Mario comunicava il desiderio di ascoltare, prestare attenzione a quello che si dice e si fa, di leggere, studiare, scrivere, perché quando si legge e si studia si diventa, almeno un po’, uomini pacifici. L’essergli stato accanto in quei giorni, in spirito di amicizia, è stata una inaspettata fortuna, essendo io artigiano artista capitato da lui con ben pochi meriti, e prestato per caso al mondo dell’educazione.

Leggi le informazioni sulla mostra La scienza in altalena. Giocando s’impara.

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