Il saluto di Mario Lodi al conferimento della presidenza onoraria MCE

Firenze, dicembre 2011

Nei suggestivi ambienti dell’Istituto Gould è ospitata la sessantesima assemblea del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE).

È l’anniversario di un movimento nato in Italia, sulla scia del pensiero pedagogico e sociale di Célestin ed Elise Freinet, negli anni della grande ricostruzione all’indomani della seconda guerra in quel clima di fermento e desiderio di rinnovamento della scuola italiana. Fondato a Fano il 4 novembre 1951 da Giuseppe Tamagnini insieme a una decina di insegnanti e pedagogisti, il movimento inizialmente si chiamava Cooperativa Tipografica a Scuola (CTS). Questo primo esiguo gruppo di pionieri aumentò di anno in anno. Nel 1956 prese il nome di Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) con sede a Frontale nella casa di Tamagnini. Fra gli esponenti attivi del MCE, Giovanna Legatti (1921-2012) e Mario Lodi (1922-2014) diedero un significativo e importante contributo alla vita del Movimento e alla scuola italiana.

Il saluto di Maria Cristina Martin, segretaria nazionale del MCE, accoglie tutti con emozione. L’occasione è importante. La festa si apre con alcune immagini di Mario Lodi, tratte dal documentario Partire dal bambino del regista Vittorio De Seta, e culmina con l’assegnazione della duplice presidenza onoraria: a Giovanna Legatti, maestra a Coldigioco di Apiro nelle Marche e a Mario Lodi, maestro al Vho di Piadena.

Assenti per motivi personali, i neopresidenti designati, hanno avuto come “portavoce” Roberto Lovattini che ha ritirato pergamena e targa per conto di Giovanna Legatti e Cosetta Lodi, che ha letto il messaggio di Mario Lodi che riportiamo di seguito.

All’Assemblea del MCE

Carissimi,

Sono onorato di ricevere dal Movimento di Cooperazione Educativa la Presidenza onoraria dell’Associazione.

Non posso purtroppo essere presente tra voi in questa bella giornata. 

Vorrei farvi avere comunque alcuni ricordi e alcune riflessioni…

Dall’illuminismo in poi, dopo Jean Jacques Rousseau, molti hanno tentato di dare alla scuola nazionale una finalità alta: Il Ferrer in Spagna aveva aperto la Escuela Moderna, in Italia Maria Montessori aveva sperimentato le Case dei bambini. In Russia il grande scrittore Leone Tolstoj aveva trasformato in scuola la sua tenuta Jasnaia Poliana dove insegnava a scrivere ai bambini, Celestin Freinèt in Francia organizzò una cooperativa di maestri, don Lorenzo Milani aveva trasformato la sua parrocchia in scuola: e tanti altri meno famosi si sono dedicati all’educazione dei fanciulli. Solo il fascismo usò la scuola per un fine meno alto: ottenere il consenso del popolo per la politica della guerra. 

Con la liberazione fu necessario dare una legge nuova allo Stato democratico nascente; l’11 dicembre 1947 fu approvato all’unanimità un ordine del giorno di Aldo Moro nel quale si chiedeva che la Costituzione “trovi, senza indugio, adeguato posto nella scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevoli le giovani generazioni delle conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sicuro retaggio del popolo italiano”.

Quel giorno era nata l’idea della nuova scuola italiana. 
Il suo scopo ideale era la formazione dei cittadini democratici.

Noi del Movimento di Cooperazione Educativa abbiamo realizzato la scuola del dialogo e della democrazia.

Nel 1948, l’anno in cui sono entrato di ruolo, fu promulgata la Costituzione italiana.

Nell’immediato dopoguerra, i docenti che avevano vissuto come me, direttamente, l’esperienza del fascismo, della guerra e della liberazione avevano un obiettivo concreto: realizzare la ricostruzione della scuola alla luce della Costituzione. C’era tensione ideale e morale, la politica era una cosa seria. Nacque un movimento riformatore della scuola.

Un giorno, un mio amico mi disse che a San Marino si riunivano alcuni maestri un po’ strani…così ci andammo per quattro giorni. Lì ho conosciuto maestri come Quercioli, Bruno Ciari, Giuseppe Tamagnini, Aldo Pettini, Maria Luisa Bigiaretti… e attraverso l’incontro con questo gruppo, in pochi anni è cominciata la conoscenza del mondo del bambino.

Certamente non c’era la certezza che un lavoro scolastico tendenzialmente intuitivo portasse a dei risultati positivi. Per questo ci avvicinammo a personalità orientate verso la cultura scientifica, ad esempio Francesco Tonucci, Aldo Visalberghi, Raffaele La Porta, Andrea Canevaro, Tullio De Mauro, e altri.

Da una parte cominciammo a “liberare” il bambino facendolo parlare di sé, introducendo nuove tecniche didattiche come il testo libero, l’uso della stampa, la corrispondenza interscolastica, il calcolo vivente, ecc.; dall’altro trovammo sostegno da parte della scienza, attraverso la teoria che il pensiero del bambino non cominciasse a scuola, ma fin dalla nascita. Così nacque e si sviluppò, attraverso una collaborazione fra persone autodidatte, questa ricostruzione culturale.

La particolarità che mi colpì del Movimento fu il concetto di dovere morale di cooperazione educativa: qualsiasi azione venisse compiuta, indipendentemente dal risultato, avevamo il dovere di comunicarla agli altri. Per questo motivo cominciai a documentare ciò che avveniva nella mia classe.

L’impostazione era questa: dare la parola ai bambini, ritornare su ciò che avevano detto se le cose non fossero state chiare, ricercare, ecc. Siamo arrivati a scoprire la fantasia dei bambini, cioè la capacità di trasformare con la loro immaginazione la realtà in favola. Parlo di una favola vera, non del tranello della fantasia come mera evasione.

Il MCE divenne piano piano un movimento di circa 6.000 su 27.000 insegnanti in tutta Italia che credeva nel rinnovamento della scuola come strumento fondamentale per il rinnovamento della società.

La scuola in una società democratica deve esprimere i valori su cui è fondata come strumento di crescita umana e sociale.

La Costituzione è la bussola, la guida da vivere quotidianamente a scuola e nella vita civile, se vogliamo costruire una società di alto livello etico.

Una scuola che accoglie tutti i bambini, in cui non ci sono scarti da perdere per strada ed allontanare, vuol dire che si prende cura di chi ha bisogno quindi è fondata sulla solidarietà e sull’aiuto reciproco. Una scuola che da loro la libertà di esprimersi come dice l’articolo 21 della Costituzione: “tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero con le parole, con lo scritto e ogni altro mezzo…” , una scuola che stabilisce regole condivise perché vivere insieme richiede l’esercizio quotidiano del rispetto di regole che rendono possibile l’uso della libertà, una scuola che promuove la capacità di ciascuno attraverso una valutazione formativa, una scuola in cui il bambino abbia la possibilità di realizzarsi esprimendosi con tutti gli strumenti a disposizione. 

Vorrei suggerire agli insegnanti di diventare veri educatori di bambini che vivono a scuola la loro prima esperienza sociale fra amici con i quali collaborare invece di competere. Una scuola di pace.

Ai giovani di oggi che chiedono una scuola nuova dico: noi avevamo nel cuore la legge unificante della Costituzione in un periodo di crisi nazionale drammatica come quello dell’Italia all’indomani della guerra mondiale e del fascismo.

La formazione professionale dei docenti capaci di organizzare il lavoro scolastico liberando le capacità espressive, logiche e creative dei bambini non è soltanto una questione pedagogica e burocratica, essa è prima di tutto urgente problema politico nel quadro di un risanamento morale dell’intera società.

Il cammino è una strada da percorrere insieme con tenacia, concretezza, passione, responsabilità, determinazione, competenza e divertimento.

È anche credere che i sogni si possono realizzare insieme: educatori, bambini e genitori.

Nel mio cammino ho avuto la sorpresa di scoprire che questo mestiere rendeva felici.

Vi ringrazio, vi saluto e vi auguro buon lavoro!

Mario Lodi

Firenze, 7 dicembre 2011

Da Vho a Coldigioco

Tra la seconda metà degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ’60, anche in virtù della strenua attività pubblicistica condotta sull’organo a stampa del movimento dietro sollecitazione di Pettini, Lodi divenne un punto di riferimento per il freinetismo italiano. Ciò è attestato anche da una vicenda meno nota, rimasta nell’ombra per molti anni, che conviene qui richiamare. Nel dicembre 1960 Giuseppe Tamagnini propose a Mario Lodi di chiedere il trasferimento dalla piccola scuola elementare del Vho in quella di Coldigioco, frazione di Apiro, nelle Marche, dove lo stesso Tamagnini aveva deciso di trasferirsi insieme alla compagna Giovanna Legatti nella vecchia casa paterna di Frontale di Coldigioco, dove “già da alcuni anni si incontravano, a gruppi ed a turni durante l’estate, colleghi del Movimento di Cooperazione Educativa per scambi di idee, comunicazioni sul lavoro svolto durante l’anno scolastico, corsi di aggiornamento o di iniziazione alle tecniche Freinet”, durante i quali era maturata l’esigenza di avere “a portata di mano una scuola in cui le tecniche Freinet fossero applicate e si potesse prendere contatto non solo con gli strumenti ed i lavori compiuti, ma con gli autori in carne ed ossa di quei lavori e vedere in atto quelle tecniche” (Tamagnini, 2001, pp. 5-6). Ciò aveva fatto scaturire in Tamagnini l’idea di attuare nella vicina scuola di Coldigioco, “un esperimento di scuola imperniato sulle tecniche Freinet condotto […] in un ambiente senza dubbio fra i più depressi”, al fine anche di “dimostrare, se avesse qualche fondamento di validità l’obiezione che spesso ci veniva rivolta, secondo cui le tecniche Freinet per dare buoni risultati avevano bisogno di favorevoli condizioni ambientali: in un ambiente povero di stimoli culturali, si diceva, il testo libero e la corrispondenza non avrebbero potuto portare più in là del ‘diario’ di vecchia e poco onorata memoria” (Tamagnini, 2001, p. 6). Tamagnini insomma aveva pensato di coinvolgere in questo esperimento, centrale per la diffusione del freinetismo in Italia, proprio Mario Lodi, seppur con la collaborazione e il supporto a distanza di Bruno Ciari, Maria Bertini e altri maestri del Movimento. In una lettera del 10 gennaio 1961 Tamagnini scriveva a Lodi: “Certo la tua presenza creerebbe per il Movimento una eccezionale condizione di favore: lavorando insieme potremmo arrivare molto lontano. Per me personalmente sarebbe una infinita fortuna ed un motivo di fiducia e sicurezza”
Nelle settimane successive Mario Lodi e Giovanna Legatti chiesero ai rispettivi Provveditori il trasferimento nella piccola scuola di Frontale. Nel giugno del 1961 tuttavia la Legatti ottenne il trasferimento da Vigolzone, in provincia di Piacenza, mentre Lodi se lo vide rifiutare e il progetto naufragò, anche se la casa MCE di Frontale e la scuola di Coldigioco continuarono a costituire negli anni a venire un polo attrattivo per i membri del movimento, tanto da attirare a un certo punto l’attenzione della Questura di Macerata…

Testo tratto da:
Il rapporto con Giuseppe Tamagnini e Giovanna Legatti e il fallito progetto di trasferirsi nella scuola di Coldigioco (1960-1963) in Mario Lodi e i suoi primi rapporti col Movimento di Cooperazione Educativa (1955-1963) di Juri Meda pubblicato in “Scuola, democrazia, partecipazione e cittadinanza in occasione dei 100 anni dalla nascita di Mario Lodi” a cura di Massimiliano Fiorucci, Isabella Loiodice, Manuela Ladogana, Atti del convegno SIPED, Foggia, ed. Pensa Multimedia, 2022, pp. 117-127.

Pubblicato il: